Dopo sei stagioni di onorato servizio, il 2018 ha visto la conclusione di uno dei migliori prodotti televisivi degli ultimi dieci anni: stiamo parlando di The Americans, la serie di FX creata da Joe Weisberg (ex agente della CIA) andata in onda in Italia sul canale satellitare Fox. Osannata dalla critica e da illustri fan (due in particolare, Stephen King e Barack Obama), la spy story che vede gli straordinari Keri Russell e Matthew Rhys nei ruoli delle due spie del KGB Elizabeth e Philip Jennings chiude il suo arco narrativo con la stessa raffinatezza che ha contraddistinto tutti i 75 episodi. La fine di The Americans lascia un vuoto difficile da colmare, non solo per la qualità intrinseca della creatura di Weisberg ma anche perché lo show è stato uno dei grandi baluardi di un certo modo di fare televisione che, nell’era della Peak TV, sta progressivamente diventando l’eccezione, non più la regola.
SI CONCLUDE UN CAPOLAVORO DELLA TELEVISIONE CONTEMPORANEA
Le ultime dieci puntate, a livello emotivo, rappresentano il punto più alto di The Americans. Ci troviamo nel 1987: mentre Philip (Matthew Rhys) si concentra totalmente sull’espansione dell’agenzia di viaggi (avendo quasi del tutto abbandonato l’attività operativa), Elizabeth (Keri Russell), sempre più dedita alla causa, incontra in Messico un generale sovietico. Il militare le chiede di tenere d’occhio Fyodor Nesterenko, un negoziatore governativo: nelle intenzioni di una parte dell’establishment dell’URSS, Nesterenko è la chiave per rovesciare Gorbachev (all’insaputa della spia). Intanto Paige (Holly Taylor) è stata assoldata dal KGB ma sia la madre Elizabeth che Claudia (Margo Martindale) non le danno molte informazioni riguardo alle missioni da compiere. Nel corso della stagione però l’interventismo dell’agente dell’FBI Stan Beeman (Noah Emmerich) rompe un tabù: l’uomo comincia a covare dei sospetti nei confronti di Philip ed Elizabeth, suoi amici e vicini di casa.
UNA SESTA STAGIONE PERFETTA SOTTO TUTTI I PUNTI DI VISTA
A differenza di Homeland, che nel corso degli anni ha cambiato pelle, The Americans ha dimostrato sin dall’inizio (il pilot andò in onda negli Stati Uniti il 30 gennaio 2013) un’incredibile coerenza stilistica e narrativa: prendendo spunto da una vicenda realmente accaduta, la serie rientra a pieno titolo nel Gotha della Golden Age della televisione (assieme a The Sopranos, Breaking Bad, The Wire, Mad Men) per la sua capacità di rappresentare, attraverso la storia di due agenti segreti sovietici infiltrati in America, tutte le sfaccettature dell’animo umano in maniera estremamente realistica (ricordiamo che Keri Russell e Matthew Rhys sono una vera coppia fuori dal set). Pur non essendo un’opera mainstream come Game Of Thrones o Stranger Things, The Americans ha sempre avuto uno zoccolo duro di fan affezionati che hanno permesso al network via cavo, nonostante gli ascolti non proprio esaltanti, di concedere carta bianca (anche in ottica Emmy) ai due showrunner Joe Weisberg e Joel Fields: come nei migliori film d’autore la creatura di FX si prende i suoi tempi, senza assecondare i gusti del pubblico, con un ritmo solo all’apparenza compassato; la vera forza della serie sta nel non detto, nei suoi sottotesti socio-politici e negli sguardi dei suoi protagonisti. Dopo una quinta annata che ha avuto il compito di preparare il terreno per il grande finale, l’ultima stagione chiude con intelligenza ed eleganza tutte le storylines senza però darci alcun indizio sul futuro dei protagonisti: il rapporto tra Philip ed Elizabeth non è mai stato così freddo ma, nel momento in cui la situazione precipita in modo irreversibile, trovano la forza per fare quadrato come nei bei tempi. Tuttavia il destino sa essere beffardo con le nostre spie (come, del resto, anche con i personaggi secondari dello show) perché inevitabilmente la Guerra Fredda ha segnato le esistenze di tutti coloro che sono stati a contatto della famiglia Jennings, nessuno escluso: Stan (straziante il suo confronto con l’amico Philip), Claudia, Oleg Burov (un ottimo Costa Ronin, visto quest’anno anche in Homeland) e, soprattutto, le due vere vittime dell’operazione del KGB, Paige e il fratello Henry (l’unico totalmente all’oscuro della vita segreta dei suoi genitori)
UN FINALE AGRODOLCE CHE BEN SI SPOSA CON LO STILE DELLA SERIE
Le ultime scene di The Americans, dal sapore fortemente agrodolce, ricordano molto il finale di The Shield, altra grande serie FX: in quel caso il protagonista, il poliziotto corrotto Vic Mackey, riesce a farla franca con la giustizia ma ad un costo altissimo, quasi insostenibile. Nonostante tutte le nefandezze che hanno combinato, noi non riusciamo mai a detestare Elizabeth e Philip perché, fin da quando erano piccoli (e i flashback non sono messi lì per caso), hanno dovuto convivere con la sofferenza e con la mancanza di reali alternative, ideali marionette nelle mani della nomenklatura sovietica. Il series finale è la summa di ciò che rappresenta The Americans, un dramma umano che non ha bisogno di azione o di assurdi colpi di scena per coinvolgere lo spettatore: bastano i silenzi e gli sguardi di Keri Russell e Matthew Rhys (mai così bravi) a catturare la nostra attenzione e ad emozionarci.
Nell’anno della sua degna chiusura, The Americans meriterebbe di vincere tutti quei premi che non è ancora riuscita ad aggiudicarsi (nonostante le numerose nomination agli Emmy, non ha mai trionfato nelle categorie principali): sarebbe il giusto coronamento per un capolavoro del piccolo schermo troppo spesso snobbato e sottovalutato.