Ride, debutto al lungometraggio del regista di videoclip e pubblicità Jacopo Rondinelli appena arrivato in edizione home video con Lucky Red e Koch Media, sembra essere il perfetto esempio di quel nuovo cinema italiano (o quasi) che da qualche tempo vuole proporsi come reazione immunitaria al proliferare di commediole e drammi familiari mediocri (sfornati con lo stampino) che ha infestato la settima arte tricolore negli ultimi decenni. L’ambizione del progetto traspare anche dalla cura con cui è stata realizzata la release blu-ray, che propone oltre a un booklet e delle card da collezione un ampio assortimento di extra: teaser, trailer, Behind the Ride (Ready, Steady, Go; GoPro Experience; Max, Kyle; Clara; VFX; Riders On The Storm), Into The Riderverse – speciale multimedia; The Sound of Riders – featurette musiche e suono; Rideviews – il pensiero dei critici; Ride Level Zero – il fumetto.
RIDE E UNA NUOVA TENDENZA
Questo thriller dalla forte componente action che segue le avventure di due ciclisti acrobatici affidandosi alle lenti delle GoPro (ma anche di webcam, droni, CCTV e screencast), ripropone infatti quel mix di elementi che ha plasmato titoli come Mine, Monolith, The End? L’Inferno Fuori e in una certa misura l’apripista Lo Chiamavano Jeeg Robot: una rilettura originale dei topoi tipici del cinema di genere statunitense, una vocazione – più o meno marcata – al mercato internazionale, e un’idea di base capace di contenere il budget senza che ciò vada a scapito del risultato finale. Un’operazione non molto diversa da quella attuata già da anni dai cugini d’Oltralpe (e spesso impossibile senza un supporto internazionale), che però a noi sta riuscendo particolarmente bene.
La storia è quella di due rider acrobatici con una folle passione per gli sport estremi, Max Falco (Lorenzo Richelmy, della cui bravura più registi dovrebbero accorgersi) e Kyle Robertson (Ludovic Hughes): due talentuosi scavezzacollo che vengono invitati a una gara super-segreta di downhill senza rendersi conto di quello cui andranno incontro. Attratti dai 250.000$ del premio, si ritroveranno a dover competere sotto un monitoraggio continuo e high tech per il diletto dei membri di un’associazione segreta, catapultati in una sfida per la sopravvivenza che metterà a dura prova le loro capacità atletiche e la loro psiche.
GARANTISCONO FABIO E FABIO
Non è un caso se tra i modelli che abbiamo citato c’è proprio quel Mine che tanto successo ha riscosso a livello internazionale: a produrre Ride ritroviamo infatti il duo registico dietro il film con Armie Hammer, il tandem noto come Fabio e Fabio. L’esordio cinematografico di Rondinelli non avrebbe potuto godere di supporto migliore, probabilmente: i nomi di Fabio Guaglione e Fabio Resinaro (che firmano anche lo script insieme allo sceneggiatore Marco Sani – anche lui un graditissimo ritorno – e che più in generale hanno una supervisione artistica a tutto tondo) ha da subito destato l’attenzione di quel pubblico in ampia espansione che fa il tifo per questo nuovo cinema di genere che coinvolge talenti tricolori.
È addirittura difficile ricordare un film indipendente e di un regista all’opera prima che abbia avuto sin dal suo annuncio un tale interesse mediatico. Il merito va sicuramente al buzz creato dai produttori (a loro agio nel ruolo almeno quanto lo sono dietro la macchina da presa) e all’high concept di proporre un titolo interamente girato con delle action cam; ma con l’andare del tempo le prime immagini del film e lo straordinario lavoro del comparto marketing non hanno fatto che consolidare il preconcetto positivo, generando un hype inedito per il mercato di casa nostra.
Il film quell’hype non lo delude, neanche un po’. Essere vincolati a due decine di action cam impedisce a tratti di dare il giusto respiro alla storia e porta a una sovrastimolazione sensoriale che soprattutto nell’ultima mezz’ora confonde lo spettatore – sono i limiti tecnici insiti nel progetto – ma Rondinelli sa girare (come Filippo Mauro Boni e Fabio Guaglione sanno montare), e si vede: le mirabolanti acrobazie, che normalmente troveremmo in qualche video YouTube di sport estremi sponsorizzato da un noto energy drink, sono solo una delle molte frecce nella faretra degli autori, e si arricchiscono di una frenetica dimensione di tensione e di interessanti sfumature narrative che regalano una freschezza del tutto inedita. È così che l’ingestibile girato di 20 camere aperte a tutta scena diventa un vortice dal quale attingere per una moltitudine di inquadrature e tagli (spesso della durata di 1 solo secondo), una grande possibilità artistica per due interpreti mai così liberi e una tela per numerosissimi interventi di computer grafica tesi ad accentuare il look and feel da videogioco – non senza forti reminiscenze à la Black Mirror.
UNA CORSA VERSO UN CINEMA DIVERSO
Qualche soluzione ammicca chiaramente all’immaginario fumettistico, ma proprio per l’assenza dell’elemento fantastico e per le relative ristrettezze del budget finisce per avere un vaghissimo sapore di cosplay. Il tutto però è gestito con intelligenza, e anziché diventare un limite si rivela una sorta di brillante ‘fan service’ (in senso lato) che di certo aiuterà la pellicola in sala. È incredibile il modo in cui Rondinelli (e Guaglione e Resinaro) hanno usato le località trentine, ma ancora di più colpiscono le scenografie di Fabrizio D’Arpino, che lascia a bocca aperta con location e atmosfere che il cinema italiano normalmente si sogna. Assolutamente degno di menzione anche l’encomiabile e adrenalinico lavoro di commento musicale di Andrea Bonini e Massimiliano Margaglio: anche loro stupiscono per idee e tecnica (e quei bassi vibranti come una sirena sorda riportano alla mente quelli di Zimmer e Wallfisch in Blade Runner 2049).
Ride riesce pienamente in quello che è il suo scopo principale: diverte, tiene incollati allo schermo e dimostra che in Italia c’è spazio per un’idea di cinema che concettualmente (e basta) recupera la grande vocazione al genere che succedette alla stagione d’oro degli autori italiani degli anni ’60 e che viene qui sussunta e al contempo superata, spingendoci in direzioni inedite, e avviando un viaggio cinematografico che il pubblico vuole intraprendere con entusiasmo. Se Bekmambetov con Hardcore avevo provato a girare un intero film in POV, qui siamo su un terreno decisamente più complesso, interessante e pionieristico: già questo sarebbe un merito rarissimo per una pellicola italiana.
Oltre a questo però Ride si rivela intriso di una velata ma decisa critica alla “società dello spettacolo” dei social e degli smartphone, è permeato da un citazionismo che soddisferà i nerd più attenti e – soprattutto – è un vetrina per alcuni dei migliori talenti tecnici della settima arte tricolore, galvanizzando così lo spettatore e facendo chiudere un occhio su qualche incertezza di troppo nella gestione della terza parte della pellicola o su qualche picco di gigionismo da parte di Simone Labarga.
Quasi come quella stessa gara di downhill che racconta, Ride è una corsa adrenalinica verso un nuovo cinema italiano. Uno dei tanti che vorremmo vedere in sala, e forse uno dei pochi capace di riportare un certo pubblico a supportare i registi italiani esordienti. Chi vi scrive, in una chiacchierata informale, si è lasciato sfuggire con Fabio e Fabio questa definizione: «è un action della madonna, ma con uno spessore, con dei contenuti». La reazione che hanno avuto i direttori creativi ha confermato platealmente che era proprio quello il loro obiettivo.