Da Giuditta a Salomé, l’arte ci ha da tempo mostrato la decapitazione come assoluto momento di vendetta o sublimazione di una pulsione erotica altrimenti impossibilitata a trovare appagamento. Alexia Walther e Mazime Matray invece ci conducono per mano in un viaggio surreale, a tratti allucinatorio, in cui due lutti lontani nel tempo si fanno collante che unisce i due improbabili protagonisti di Bêtes Blondes (Blonde Animals), lungometraggio presentato in concorso alla 33esima Settimana Internazionale della Critica.
Svegliandosi in mezzo a un bosco circondato da rimasugli di cibo mangiati dai vermi, Fabien (Thomas Scimeca) sembra fare fatica a capire dove si trovi e come sia arrivato lì. Invitato a unirsi a un gruppo in procinto di pranzare nel bosco, l’uomo approfitta di un piccolo incidente per rubare tutto il salmone che stavano per mangiare e fuggire a gambe levate tra gli alberi. A un tale inizio fulminante segue il primo incontro con Yoni (Basile Meilleurat), un bel giovane vestito alla militare seduto sul ciglio della strada con sguardo afflitto mentre ascolta della musica. Dopo il tentativo fallito di rubare la moto del ragazzo, Fabien riesce ad arrivare in qualche modo a una lussuosa villa dove si sta tenendo una commemorazione funebre per un giovane morto decapitato in un incidente stradale mentre stava fuggendo per ricongiungersi col fidanzato. Fidanzato che si scopre essere nient’altro che Yoni.
Pellicola sfuggente e dal fascino selvaggio, Bêtes Blondes elude ogni tentativo di inquadramento rigoroso all’interno di un genere narrativo. Un po’ commedia, un po’ dramma, un po’ viaggio onirico e allucinazione surreale, il film si presenta come un omaggio al tema della memoria, del desiderio ma anche come una sensibile disamina sull’elaborazione del lutto. Fil rouge diventa quindi la testa di Ricky che, una volta trafugata da Yoni, si fa non solo simulacro e pegno dell’amore tra i due ragazzi ma anche catalizzatore della catarsi contro cui sta andando Fabien, che dopo decenni è ancora tormentato dai sensi di colpa per la morte della fidanzata in un incidente stradale mentre erano a cavallo della loro moto.
Incorniciato in un 4:3 dal fascino vintage, la rivelazione del film è il talento di Thomas Scimeca alle prese con un ruolo decisamente sopra le righe e di non facile rappresentazione. Narcolettico, molto spesso ubriaco e incapace di ricordarsi l’immediato passato, Fabien vive intrappolato nel ricordo di un io che non esiste più, di quegli anni Novanta in cui era star amatissima di una sit-com durata troppo poco per diventare memorabile. Ma soprattutto, Fabien incarna quell’elaborazione del lutto passiva che si strugge nel senso di colpa, nella rimozione anche inconscia del dolore, nella fuga in un mondo altro più onirico che reale. Al contrario, Yoni è personaggio attivo, carismatico nel fare i conti con l’ineluttabilità della perdita, pronto sì alle lacrime ma anche senza scrupoli di fronte al ratto della bella testa del fidanzato.
Nei suoi 100 minuti di scrittura sorprendente, Bêtes Blondes stupisce per un’inventiva e una giocosità che troppo spesso vengono sottovalutate, soprattutto tra i confini di un certo cinema impegnato che popola i festival. Difficilmente avremmo mai pensato di sentirci anche noi come la testa di Ricky, spettatori impossibilitati ad agire ma cullati dalle braccia del fato, pronti a perdersi tra le pieghe di un viaggio che finisce così come era iniziato. Nel sonno.