Presentato nella 15. edizione delle Giornate degli Autori (seziona parallela della 75. Mostra del Cinema di Venezia), Screwdriver è l’interessante ma incompiuto racconto del “ritorno alla vita” di Ziad Bakri, un palistenese che ha passato quindici anni in un carcere israeliano dove è stato maltrattato e torturato. Scontata la sua pena e tornato nel mondo normale, “Zhouz” (come lo chiamano gli amici) farà fatica a rapportarsi con un universo che si è evoluto e che non comprende.
Screwdriver (titolo internazionale di Mafak) comincia con Ziad e i suoi amici in macchina, ancora adolescenti, che si divertono a bere birra. Uno di loro viene ucciso da un israeliano e di conseguenza i compagni, per vendicarlo, sparano a colui che credono essere l’assassino. Nonostante sia innocente, Ziad finisce in carcere perché si rifiuta di fare la spia contro i suoi sodali. Quando esce di galera, Zhouz viene portato in trionfo e trattato come un eroe, pur soffrendo degli anni di galera.
L’ incipit del film di Bassam Jarbawi (al suo esordio cinematografico) è veramente promettente. L’avventura di Zhouz comincia fra dei giganteschi palazzi palistenesi, in mezzo al deserto, in una sorta di borgata del medio oriente dove l’odio verso gli israeliani è fortissimo. Il protagonista è spaesato, non si relaziona con gli altri e non è nemmeno in grado di lavorare. A questo punto sembra che Screwdriver possa diventare un grande film di genere, dove Ziad cerca di sopravvivere e di ottenere del denaro, barcamenandosi fra lavori saltuari come facevano Marinelli e Borghi in Non Essere Cattivo.
Purtroppo però il film non è di Claudio Caligari e in breve una storia di di adattamente si trasforma in una riflessione, piuttosto pigra e superficiale, su di un uomo che ha “perso” quindici anni di storia. Talvolta Jarbawi cerca persino di innestare qualche elemento di critica politica nel copione, fallendo a colpire lo spettatore in alcun modo. Mafak procede quindi con svariati personaggi secondari (come un street artist che vorrebbe combattere per il suo popolo e una regista araba) che si approcciano a Ziad e cercano di aiutarlo a comprendere le innovazioni tecnologiche o più in generale l’evoluzione che in soli quindici anni ha investito il territorio palistinese (simbolica la scena in cui il protagonista si ritrova in un bar dove servono bevande come il “mocaccino”). Purtroppo però tutti gli elementi introduttivi e le premesse del film non vengono sviluppati al massimo delle loro potenzialità, restando soltanto sullo sfondo.