A poco più di venticinque anni, Brady Corbet aveva fatto il suo esordio in Orizzonti con L’Infanzia di un Capo (2014), un bildungsroman geniale che, attraverso alcuni passaggi cruciali, raccontava di come un bambino potesse trasformarsi in un dittatore. In Childhood of a Leader (questo il titolo originale) venivano raccontati alcuni episodi veri – presi dalla vita di dittatori come Mussolini – per restituire l’immagine di un fittizio totalitarista. In quel film Corbet mirava a raccontare l’archetipo del crudele e del maligno, di illustrare le conseguenze di un educazione severa e repressiva.
In Vox Lux, presentato in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia, il regista americano cerca di portare a termine un compito ancora più ambizioso: raccontare la storia della prima parte del ventunesimo secolo attraverso gli episodi che hanno segnato lui e la sua generazione (il regista è nato nel 1988). Il problema è che l’operazione è troppo ambiziosa per i soli 110 minuti di durata e il film, inevitabilmente, ne risente. Quando le luci si spengono e l’opera termina, la sensazione è che alle vicende narrate manchi una conclusione degna e soddisfacente.
CELESTINE: INFANZIA DI UNA POPSTAR
Il primo atto del film è ambientato nel 1999, con la voce narrante di Willem Dafoe che racconta come il nome “Celeste” significhi in latino “paradiso” e che, per questo, la giovane è destinata a grandi cose. A pochi minuti dall’inizio del film la protagonista quattordicenne (interpretata da Raffey Cassidy) rimane gravemente ferita durante un massacro scolastico a opera di un suo compagno; è abbastanza fortunata da sopravvivere, ma riporta lesioni quasi letali alla spina dorsale. È così che la storia recente entra in Vox Lux, con echi che rimandano a Elephant di Gus Van Sant – che raccontava la sparatoria della Columbine High School.
In coincidenza dell’assalto nasce la fama di Celestine, la quale in ospedale – con l’aiuto della sorella – scrive una canzone che imprevedibilmente finisce per diventare l’inno di lutto di un paese intero. Sempre accompagnata dalla sorella (Stacy Martin) Celestine inizia a girare il mondo con un produttore musicale (Jude Law), fermandosi in Svezia, dove ai tempi stava nascendo l’EDM che sarebbe esplosa alcuni dopo con gruppi come gli Swedish House Mafia.
Nella prima parte Vox Lux è perfettamente riuscito. Con una semplice metafora riesce a illustrare la retorica americana (il modo in cui Celestine diventa famosa, cantando una canzone pop), abbozza un interessante rapporto competitivo fra le due sorelle e soprattutto rende sorprendentemente interessanti i cliché legati all’universo delle star della musica; dalla vita sregolata fatta di feste fino allo “sfruttamento” dei produttori verso i proprio talenti. Il film assume dunque lo stesso tono “apocalittico” di Infanzia di un capo e si ha l’impressione che, presto, qualcosa di gigantesco stia per accadere.
NATALIE PORTMAN NEI PANNI DI CELESTINE: UN ESERCIZIO DI STILE
Il primo atto del film si conclude nel 2001, con l’attentato alle Torri Gemelle, per poi ricominciare nel 2017. Celestine viene ora interpretata da una grandissima Natalie Portman, ipertruccata e bizzosa popstar di grande successo che si appresta ad affrontare la prima data del suo tour mondiale. Già nervosissima, la protagonista viene a sapere che in Croazia è avvenuta una strage a opera di terroristi e che gli assassini indossavano tutti delle maschere usate da lei in un vecchio video musicale.
È proprio qui che, inspiegabilmente, il film crolla. Nonostante il geniale spunto dell’attentato, Vox Lux si ritrova improvvisamente senza nulla di particolare da dire. Piuttosto che concentrarsi sulle conseguenze della sparatoria o sul rapporto fra le due sorelle, Brady Corbet finisce per trasformare la sua opera in un esercizio di stile, che ritrae la quotidianità di una stella della musica che non ha nulla di imprevedibile. Al cinema questo non è necessariamente un male (basti pensare a Solo gli Amanti Sopravvivono, uno splendido “esercizio di stile” di due ore girato da Jim Jarmusch), ma in Vox Lux significa demolire ogni aspettativa precedentemente costruita.
La scollatura fra la prima e la seconda parte del film è decisamente troppo pronunciata, e piuttosto che fare i conti con l’attentato, Celestine cerca di recuperare il rapporto con la figlia adolescente, si destreggia fra i giornalisti e consuma droghe e alcol con il suo produttore. Tutto ciò è indubbiamente recitato e girato benissimo, grazie ai lunghi piani sequenza di Brady Corbet nei quali Natalie Portman è divertente e perfetta come popstar camaleontica alla Lady Gaga. Ma non basta.
Sarebbe perciò scorretto etichettare Vox Lux come un film noioso o mal eseguito. È piuttosto un’opera monca, alla quale mancano diversi passaggi e che probabilmente è stata soggetta a diverse imposizioni a livello produttivo. Forse nella mente di Brady Corbet il film doveva essere più lungo ed elaborato, e forse non avrebbe nemmeno incluso nei quindici minuti finali il concerto di Celestine. Ma d’altronde la musica è scritta e composta da SIA (Popstar australiana che gode di un grande potere discografico) e il testo coreografico è opera di Benjamin Millepied, marito di Natalie Portman che già aveva lavorato sulla danza ne Il cigno nero di Darren Aronofsky. Una certa fetta di pubblico rimarrà comunque soddisfatta.