A ventidue anni di distanza dall’ottimo Basquiat, Julian Schnabel torna a confrontarsi con il mondo dell’arte raccontando la vita di uno dei suoi massimi esponenti, Vincent Van Gogh: parliamo del film Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità (titolo originale At Eternity’s Gate), presentato in concorso alla 75. Mostra del Cinema di Venezia e nelle nostre sale dal 3 gennaio su distribuzione Lucky Red. Il regista statunitense, assemblando numerose scene ispirate ai dipinti di Van Gogh, mette in scena fatti realmente accaduti ma anche eventi inventati.
IL RITRATTO DI UN ARTISTA DALLA VITA CONTROVERSA
“Volevo solo essere uno di loro”: l’incipit del lungometraggio testimonia e comunica allo spettatore fin da subito il cammino tortuoso, ricco di violenze e sofferenza, dello straordinario artista olandese, interpretato da Willem Dafoe. Un’esistenza caratterizzata dalla magia, dall’amore per la natura e per la meraviglia dell’essere ma anche dal dolore, dalle tragedie e dal malessere mentale. Schnabel non vuole presentare una biografia ma un manifesto del significato di essere artista e l’unico modo per descrivere un’opera d’arte è realizzare un’opera d’arte.
Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità è un’esperienza sensoriale per qualsiasi spettatore, in grado di far provare emozioni come se ci trovassimo di fronte ad un dipinto estasiante. La ricerca della verità e della via poetica si alterna al rapporto morboso con il fratello Theo, commerciante d’arte, e all’amicizia (se non qualcosa in più) con il collega Paul Gauguin. In primo piano anche la salute mentale di Van Gogh, sulla quale gli storici continuano ancora oggi a dibattere: un’ombra funesta che attanaglia il pittore, in grado di fargli compiere azioni anche estreme. Una su tutte, l’orecchio reciso per regalarlo a Gauguin, un tentativo disperato per convincere il pittore francese a non lasciare il paese transalpino e, soprattutto, a non lasciare lui.
Nato e vissuto con il solo scopo di dipingere, Van Gogh ha come unico obiettivo quello di comunicare un complesso desiderio di vita. E Schnabel, che firma la sceneggiatura insieme a Jean-Claude Carrière e Louise Kugelberg, non si sottrae davanti a temi spinosi come la religione, mettendo in scena una straordinaria sequenza di un confronto tra Van Gogh e un prete, interpretato da Mads Mikkelsen. “Sento che Dio è natura e natura è bellezza”, afferma l’artista di Zundert, a testimonianza del rapporto osmotico con l’universo e con il creato.
La regia è straordinaria, con piani sequenza di altissima fattura, ma anche la fotografia di Benoît Belhomme e il commento sonoro di Tatiana Lisovskaya sono da sottolineare. La macchina da presa riprende alla perfezione lo stato d’animo di Van Gogh, frenetico ed inquieto; tuttavia, ad estasiare lo spettatore, è il gioco semiotico con la luce del sole, che penetra la macchina da presa come se fosse la trasposizione di uno dei novecento dipinti del pittore. Menzione particolare per Willem Dafoe che veste alla perfezione i panni di un genio triste, una delle personalità più complesse della storia dell’arte: questo ruolo è valso all’attore americano l’ambita Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Maschile nell’ambito della 75. Mostra del Cinema di Venezia.