Ivan Ayr porta al Lido il suo particolare sguardo sull’India contemporanea, legato in particolar modo alla condizione di una specifica minoranza femminile. Soni, film presentato alla sezione Orizzonti della 75. Mostra Del Cinema di Venezia e reso disponibile in streaming su Festival Scope, si apre con una tentata violenza sventata dalla protagonista (che dà il nome al lungometraggio) grazie al forte temperamento e alle abilità nel corpo a corpo che l’hanno resa una poliziotta efficiente. Dopo le manette arrivano in aiuto i rinforzi svelando l’imboscata ma Soni continua a percuotere lo stupratore, azione che provoca l’apertura di un procedimento interno al dipartimento nei suoi confronti. Sarà la sua stessa superiore, anche lei donna ma di tutt’altra pasta, a metterla di fronte alle conseguenze che l’attendono dopo il fatto.
Se l’intento era quello di concentrarsi sulla condizione della donna nel contesto indiano, Soni slitta immediatamente fuori dai binari della sua tematizzazione: le due poliziotte protagoniste sono l’eccezione alla regola che vuole gli standard di vita femminili del tutto estranei a quelli occidentali ed è già la prima scena citata a provarlo. Le angherie subite sul posto di lavoro, a casa, per strada non toccano minimamente né l’indisciplinata Soni né la superiore in grado mentre, al contrario, le donne che si presentano in commissariato mostrano una netta sudditanza verso il potere maschile. Il lungometraggio procede quindi di piccolo conflitto in piccolo conflitto, sempre sul versante dello scontro di genere talvolta fin troppo semplicistico (tutti gli uomini sono ubriachi, violenti, insistenti) ma sempre credibile, se consideriamo uno sguardo esterno.
C’è poi una particolare attenzione per la messa in risalto di certe contraddizioni sociali tutte da approfondire: le donne in questione infatti utilizzano i social network e parlano per hashtag ma allo stesso tempo vengono respinte se ancora non sono sposate o non sono madri alla soglia dei trent’anni. Il servizio di polizia notturno permette poi ad Ivan Ayr di creare piccole tensioni amplificate dal buio della strada e dalla post sbornia dei molti uomini carnefici, contribuendo in parallelo ad alimentare la forte caratterizzazione delle due agenti. Eppure una tale tempra sembra non essere sufficiente: fuori dal lavoro tornano subalterne anche all’interno delle rispettive famiglie ed è proprio l’abilità con cui si mette in scena questa mancata affermazione definitiva a rendere Soni un prodotto di tutto riguardo mentre, al contrario, la natura eccessivamente episodica degli ostacoli incontrati dalle due donne – sempre occasionali, quasi inconsistenti – lo penalizza anche a discapito del registro divulgativo adottato dall’autore.