Mirai è l’ultimo film d’animazione di Mamoru Hosoda, regista degli acclamati Wolf Children e La Ragazza Che Saltava Nel Tempo. Prodotto dallo Studio Chizu (fondato da Hosoda stesso) e distribuito in patria dalla Toho, è stato presentato ufficialmente al Festival di Cannes per poi intraprendere una lunga tournée promozionale nei maggiori festival di animazione del mondo, uscendo ufficialmente nelle sale giapponesi a luglio di quest’anno. Al cinema solo il 15, 16 e 17 ottobre, la distribuzione italiana è ancora una volta a cura dell’accoppiata Dynit/Nexo Digital (specializzata nel portare il cinema d’animazione giapponese nel nostro paese).
UN BAMBINO GELOSO DELLA SUA SORELLINA IMPARA PIAN PIANO AD AMARLA
Kun è un bambino di quattro anni appassionato di treni che vive con i genitori ed il suo cane in una casa singolare e bizzarra. La sua vita viene rivoluzionata dall’arrivo della piccola Mirai, la sorellina appena nata, che assorbe le attenzioni dei genitori scatenando in lui una forte gelosia. Dopo l’ennesima scenata in cerca di attenzioni, Kun si ritrova in un giardino magico in cui incontra la Mirai del futuro che gli insegna come combattere la gelosia e imparare ad accettare e proteggere la sorellina appena nata.
MIRAI È UN FILM IMPERFETTO CHE RIESCE PERÒ AD EMOZIONARE IL PUBBLICO
Mirai è l’ultimo di una lunga serie di film diretti da Hosoda che trattano la tematica della famiglia. Come Wolf Children raccontava l’essere madri, La Ragazza Che Saltava Nel Vento l’essere giovani e The Boy And The Beast l’essere padri, Mirai si concentra sul rapporto tra fratello e sorella. Quello di Hosoda è uno dei nomi più importanti dell’animazione contemporanea ed è uno dei più apprezzati al mondo, grazie al successo ottenuto dalle sue opere precedenti e dal rispetto di cui gode in patria (basti pensare che inizialmente, quando lavorava per lo Studio Ghibli, era stato designato come regista de Il Castello Errante Di Howl, poi passato nelle mani di Miyazaki), creando sempre grande aspettativa nei confronti dei suoi lavori.
Mirai è un film particolare, che inizialmente sembra discostarsi dai toni decisamente più maturi a cui ci ha abituato Hosoda negli anni per rivolgersi soprattutto, ma non solo, ai più piccoli: di fatto siamo di fronte ad un racconto di formazione che, attraverso l’analisi del rapporto di Kun con la sorellina appena nata, narra la crescita personale del bambino, la sua gelosia e la sua scoperta del mondo; tutto ciò è rappresentato con tono allegro ed infantile, quasi come se volesse essere una vera e propria lezione da impartire a tutti i bambini in sala. A farla da padrone è la dimensione fantastica della vicenda: Kun si ritrova spesso in veri e propri sogni ad occhi aperti in cui si rifugia nei momenti per lui più duri ma è proprio in questa dimensione alternativa che scopre la storia della propria famiglia e, grazie all’incontro con la sorella proveniente dal futuro, comprende anche quale sia il suo posto all’interno del nucleo familiare, arrivando ad accettare la presenza di Mirai nella propria vita.
Mirai soffre molto la struttura estremamente ripetitiva ed altalenante su cui poggia; l’alternanza tra realtà e fantasia si rivela un po’ troppo macchinosa per la maggior parte della sua durata, tanto che si arriva molto in fretta a poter prevedere quando ci sarà la prossima incursione nella dimensione sognante abitata dalla Mirai del futuro. Hosoda sembra arrancare fino alla fine, seppur riuscendo ad emozionare con una naturalezza spesso disarmante mettendo in mostra il suo tratto deciso ma delicato; poi però succede qualcosa e l’intera pellicola cambia forma, trasformandosi in un prodotto davvero speciale.
La parte conclusiva del lungometraggio è quella più riuscita, in cui si riesce a vedere per la prima volta in maniera chiara e distinta la mano del cineasta all’opera. Un momento importante è il volo, metaforico e non, che Kun e Mirai compiono all’interno dell’albero genealogico della loro famiglia posandosi sulle foglie che rappresentano i singoli momenti della vita di ognuno dei parenti, osservando prima il bisnonno ferito in guerra che lotta contro tutto e tutti pur di salvarsi, poi il padre e le sue difficoltà nel crescere, la madre che ha il primo contatto della sua vita con la morte e, per finire, la Mirai e il Kun del futuro che abitano ancora nella stessa casa volendosi un gran bene.
La sequenza finale fa dimenticare per un attimo i difetti del film, commuovendo lo spettatore in modo sincero e mai forzato con la classe tipica del cinema di Hosoda. Una scena che da sola vale il prezzo del biglietto.