L’americano Michael Moore è uno dei documentaristi più famosi al mondo: divenuto celebre grazie a Bowling A Columbine (vincitore del Premio Oscar nel 2003) e a Fahrenheit 9/11 (Palma d’Oro a Cannes nel 2004), il regista di Flint ha sempre posto al centro del suo cinema tutte le contraddizioni del paese più ricco del mondo. Personaggio pubblico capace di smuovere le coscienze con il suo stile dissacrante, dopo l’elezione di Donald Trump Moore è tornato alla ribalta denunciando in più riprese l’operato del presidente degli Stati Uniti e con Fahrenheit 11/9, il nuovo documentario presentato in anteprima italiana alla 13. Festa del Cinema di Roma (nel nostro paese il film uscirà nelle sale il 22, 23 e 24 ottobre distribuito da Lucky Red), dipinge l’attuale scena politica USA con straordinaria lucidità.
DEMOCRATICI E REPUBBLICANI, TUTTI NEL MIRINO DI MOORE
Michael Moore, con il suo ultimo documentario, realizza il suo miglior lungometraggio dai tempi di Fahrenheit 9/11: giocando con il titolo della sua pellicola più importante il cineasta prende come punto di partenza una data fondamentale per la storia recente americana, quel 9 novembre 2016 che regalò l’inaspettata vittoria alle elezioni presidenziali di Donald Trump. L’ex tycoon è uno dei bersagli principali di Moore: dipinto come un narcisista sfacciato, Trump viene considerato dal regista un pericolo per la fragile democrazia USA (arrivando addirittura a paragonarlo ad Adolf Hitler).
Attenzione però, se pensate che Fahrenheit 11/9 sia un film incentrato solo sulla figura del Commander-In-Chief vi sbagliate di grosso perché secondo il documentarista il “fenomeno-Trump” è il frutto di un sistema distorto in cui anche i Democratici recitano un ruolo di primo piano, rei secondo Moore di aver agevolato l’elezione dell’attuale presidente USA per colpa di un atteggiamento sempre più lontano dalle esigenze della popolazione e condizionato dalle relazioni con le corporation e gli ambienti finanziari.
Michael Moore, per descrivere al meglio l’America proletaria, prende come riferimento la sua cittadina natale: come già fece in altri film (come ad esempio Roger And Me), il regista di Bowling A Columbine mette al centro Flint, vittima di scelte politiche scellerate, per mettere in guardia lo spettatore sui possibili rischi di una deriva plutocratica in grado di danneggiare le classi più svantaggiate.
In un contesto così desolante, c’è ancora spazio per la speranza in un futuro migliore? Secondo Michael Moore, sì: la politica dal basso (in mezzo alla gente e non vincolata all’establishment di partito) e i movimenti giovanili di protesta sono le migliori soluzioni per riportare il popolo al centro della scena pubblica. Un’opera come Fahrenheit 11/9, considerando il periodo storico che stiamo vivendo, ha una funzione pedagogica fondamentale perché l’America, al giorno d’oggi, è lo specchio del panorama politico occidentale contemporaneo.