Un amarcord velato di critica, che omaggia vizi e virtù dell’establishment della commedia all’italiana, con il tocco “piacione” del racconto trasposto attraverso tre voci narranti. Questo il succo di Notti Magiche, in sala dall’8 novembre, ultima fatica di Paolo Virzì, che dopo l’esperienza americana con Ella e John (presentato in concorso a Venezia 2017) ritorna in Italia per raccontarne tutto il suo provincialismo, avvalendosi sempre della stessa squadra di sceneggiatori Francesca Archibugi e Francesco Piccolo.
La notte “magica” dei mondiali di calcio di Italia ‘90, che segnò una cocente sconfitta in semifinale contro l’Argentina, fa da incipit e cornice narrativa per raccontare un intreccio di storie, aneddoti, personaggi, che ruotano intorno ai protagonisti Antonino (Mauro Lamantia), Luciano (Giovanni Toscano) ed Eugenia (Irene Vetere), sceneggiatori finalisti del premio Solinas in trasferta a Roma, dove vivono un’esperienza surreale con i grandi nomi del cinema italiano, registi, produttori, attori ed attrici più o meno noti. Figure imponenti quanto grottesche, che i protagonisti ammirano ma allo stesso tempo vorrebbero capovolgere.
Nella notte più dura per gli italiani, in tensione davanti al piccolo schermo, i tre ragazzi vengono coinvolti nello strano caso del produttore cinematografico Leandro Saponaro (Giancarlo Giannini) che, misteriosamente, finisce con la sua auto nel Tevere. In macchina un indizio che conduce i carabinieri al gruppo di aspiranti sceneggiatori, accusati da una showgirl (Marina Rocco) di essere implicati nella faccenda.
A ritroso Antonino, Luciano ed Eugenia ripercorrono le tappe del tempo trascorso nella Capitale, rivivendo quelle che sono state le loro “notti magiche”. In un lunghissimo flashback i tre protagonisti trasmettono sul grande schermo quello che è un racconto autobiografico, velato di critica ma non troppo, atto a sottolineare la morte di un cinema di genere e la nascita di una nuova generazione che però quel mondo autoreferenziale, esagerato, volgare, fatto di raccomandazioni e feste notturne sembra non averlo cambiato più di tanto, viste le condizioni in cui il settore versa attualmente (con le sempre dovute eccezioni).
Notti Magiche, che è stato proiettato in anteprima per la chiusura della 13 Festa del Cinema di Roma, non soddisfa le altissime aspettative che prometteva. L’esercizio di inventiva, misto al racconto autobiografico, non riesce per niente bene risultando poco credibile e a tratti persino involgarito dalla presenza di personaggi grotteschi, che però non sono approfonditi come dovrebbero e rimangono delle macchiette insopportabili.
I protagonisti sono ben caratterizzati ma la scrittura dei loro personaggi è oltremodo stereotipata in tre figure viste e riviste centinaia di volte sul grande schermo. Antonino è un siciliano colto e rigido, con i capelli scomposti e gli occhialini da intellettuale. Luciano, invece è il ribelle di turno, figlio di operai di Piombino, mentre la timida Eugenia è la classica pariolina-radical chic romana, che cerca uno spazio nel mondo, ma stenta a trovarlo.
Ci si aspettava molto di più da queste caratterizzazioni, penalizzate non solo dalla mancata volontà di osare nella scrittura di nuovi personaggi, quanto dalla povertà dei dialoghi e dalla confusione generica della sceneggiatura, che non riesce a fornire allo spettatore un punto di vista veritiero. Sembra che Paolo Virzì abbia cercato di inserire tutte le emozioni che arrivavano contrastanti al pensiero di quei primi anni novanta, quando si avvicinava per la prima volta a questo mondo, torbido quanto affascinante. Purtroppo però l’irrazionalità si percepisce e si trasforma in caos in Notti Magiche, che si apprezza per l’originalità dell’idea e della composizione narrativa, che comprende vari generi (commedia, poliziesco, autobiografico, generazionale) ma che purtroppo non convince fino in fondo.
Un film riuscito a metà che si colloca tra i meno entusiasmanti del regista livornese, che ci auspichiamo ritorni, prima o poi, a quel cinema ironico, pungente e allo stesso tempo delicato che contraddistingueva chiaramente il suo stile.