Con Monsters and Men trova spazio sul grande schermo, ancora una volta, l’endemico problema della violenza razziale negli States attraverso un suo specifico aspetto ovvero gli omicidi degli afroamericani da parte della polizia bianca, tematica ampiamente trattata dal cinema negli ultimi tempi. L’opera prima di Reinaldo Marcus Green (inserita nella selezione ufficiale della 13. edizione della Festa del Cinema di Roma), nonostante si addentri in un territorio già battuto, riesce in ogni caso a regalare spunti di riflessione interessanti.
TRE PERSONAGGI TORMENTATI LEGATI TRA LORO
Manny Ortega (Anthony Ramos) è un giovane padre di famiglia ispanico in cerca di un lavoro che, in una serata come tante, assiste all’uccisione di un negoziante di colore da parte della polizia. Ma non sono solo i suoi occhi a vedere: in mano, infatti, l’uomo ha un cellulare con la fotocamera accesa. Un dolce e quasi impercettibile movimento di macchina ci porta poi nella vita di Dennis Williams (John David Washington), poliziotto afroamericano diviso tra la fedeltà al corpo di polizia e la sua appartenenza alla comunità black. Mentre si trova di pattuglia per le strade del quartiere, incrocia una promessa del baseball, Zyric (Kelvin Harrison Jr). Quasi come se avesse perso interesse nei confronti di Dennis la telecamera abbandona nuovamente il suo soggetto principale per inquadrare Zyric, adolescente in cerca della propria identità che deve decidere come definire la propria personalità e quali battaglie combattere.
UN RACCONTO NON CONVENZIONALE SU UNA TEMATICA SENSIBILE
Tutti e tre i protagonisti si devono confrontare con un dilemma: cosa fare? Denunciare, lottare, manifestare o restare in silenzio in nome di altre necessità? Cosa mettere al primo posto? La risposta non è né scontata né semplice da trovare e la sua individuazione passa sempre attraverso un lungo processo di interrogazione e valutazione, che si sviluppa in modo complesso e tormentato in ciascuno dei personaggi. Da una parte c’è la purezza dell’idealismo, dall’altra la convenienza del silenzio. In Monsters And Men il regista non si focalizza sul contesto e sull’evento in sé (che non viene inquadrato) bensì sulle reazioni dei singoli cittadini: cosa succede dopo? Quale posizione si prenderà? Da qui emerge con forza l’individualismo del cittadino americano che si confronta solo con se stesso. La discussione con l’altro è quasi sempre inutile: le decisioni non possono essere influenzate da nulla se non dalla propria coscienza.
L’originalità che distingue Monsters And Men risiede nella sua sezione centrale, in cui viene raccontata la storia del poliziotto Dennis. Emblema di un conflitto identitario causato dalla coesistenza di fattori del tutto inconciliabili, Dennis non riesce a condannare duramente l’azione del suo collega bianco. In centrale infatti l’uomo colpevolizza velatamente i suoi compagni ma davanti ai suoi amici afroamericani cerca di giustificare le azioni della polizia o, quantomeno, spiegarle. I punti di vista si mescolano e la linea di divisione tra giusto e sbagliato si assottiglia.
Il personaggio di Dennis, che regala all’intera vicenda un’angolazione ricca di sfaccettature, è in grado di porre questioni estremamente complesse: ecco perché Monsters And Men riesce ad essere molto più del solito film indipendente americano retorico.