Non vi è alcun dubbio circa il messaggio sociale e politico dietro Santiago, Italia, il nuovo film di Nanni Moretti presentato in anteprima al 36. Torino Film Festival e dal 6 dicembre nelle nostre sale con Academy Two. Il paragone con l’Italia di oggi è infatti così implicitamente palese che risulta banale – quasi lapalissiano – sottolinearlo, ed effettivamente questa inaspettata virata al documentario del grande regista di Caro Diario ci porta inevitabilmente a pesare il presente sul passato, rievocando dei sentimenti di apertura ed accoglienza che sembrano ormai così lontani dal sentire contemporaneo.
SANTIAGO, ITALIA: LA STORIA DI UN GOLPE CHE DIVENTA UNA TESTIMONIANZA DI ACCOGLIENZA
La storia su cui punta la sua camera Moretti parte dal Cile per poi arrivare in casa nostra, e segue i drammatici eventi della sanguinosa deposizione del capo di stato cileno Salvador Allende avvenuta con il golpe militare che nel 1973 diede il via alla dittatura di Augusto Pinochet (evocato per nome una sola volta nel lungometraggio). Un altro 11 settembre che ha soffocato nella violenza l’esito delle elezioni democratiche che avevano portato al Palacio de la Moneda quello che veniva definito un “marxista illuminato”, e la ‘caccia alle streghe’ che ne è seguita, con la persecuzione sistematica verso la maggioranza che aveva appoggiato un presidente amatissimo da molti eppure molto divisivo.
Chi non conosca quegli eventi potrebbe chiedersi cosa c’entri l’Italia in tutto questo, e potrebbe essere proprio Santiago, Italia a rispondere in modo circostanziato a tale curiosità. Il racconto del regime del terrore partito col bombardamento del palazzo presidenziale da parte delle forze armate fa ancora gelare il sangue nelle vene, e con esso il resoconto delle persecuzioni, della sparizione di innocenti, della detenzione in improvvisati campi di concentramento e delle torture per elettrocuzione. Ma a fare da contraltare a quelle pagine orrende di storia, il film di Moretti propone l’impegno dell’Ambasciata Italiana in Cile, che ha attivamente accolto centinaia di rifugiati politici e ha poi fatto da ponte verso la loro accoglienza nello Stivale, dove non solo le istituzioni ma anche e soprattutto le persone comuni hanno fatto sentire quegli uomini e donne in fuga di nuovo a casa.
LA BARBARIE NON SI ‘COMBATTE’ CON LA SEMPLIFICAZIONE
L’ignoranza si combatte con la conoscenza, e quindi verrebbe da pensare che nessuna scelta più del documentario potrebbe contribuire l’Italia del 2018 a riflettere senza semplificazioni sul dibattito dell’accoglienza. È innegabile che i buoni sentimenti proposti con esperienza da Nanni Moretti riscaldino il cuore, ma l’impressione è che il film finisca per poter parlare solo a chi – come dice in una scena il regista di se stesso – già in partenza non è imparziale e non riesca ad estendere il dibattito a chi non abbia già una visione chiara della drammatica vicenda. Una ricostruzione eccessivamente schematica delle vicende infatti le appiattisce proprio su quella semplificazione che tanti danni fa in un presente che in tutto il mondo vede l’ascesa di democrazie illiberali mascherate da oclocrazie.
Se le testimonianze di esponenti più o meno importanti della cultura e dell’economia cilena di allora si alternano nella prima parte di Santiago, Italia per celebrare con nostalgia e commozione quell’esperienza di governo all’insegna della giustizia sociale, della libertà dal ‘giogo’ statunitense e della nazionalizzazione delle risorse, è con troppa brevità che si fa cenno al dissenso che aveva spaccato il paese e che vedeva una parte cospicua dell’opinione pubblica (non solo la borghesia) terrorizzata dallo spettro del collasso economico. È così che sin dalla prima parte della pellicola emerge il contrasto tra gli stessi vecchi sostenitori di Allende, con alcuni che celebrano la natura quasi estatica della luna di miele tra il presidente e il suo paese e altri che citano con dolore le esultanze da stadio che accolsero per le strade i caccia che andavano a bombardare la Moneda. Una contraddizione che sarebbe stato interessante approfondire e sulla quale invece si sorvola con troppa leggerezza, indebolendo quindi dalle fondamenta l’impianto narrativo e documentario.
NANNI MORETTI GIRA CON LA MANO SINISTRA (NO, NON È UN GIOCO DI PAROLE)
Se la storia testimoniata da Santiago, Italia tocca nel profondo chi ha una sensibilità già affine a quella del regista, è pur vero che si muove sempre su un certo livello di superficialità; utile a contenere il metraggio negli 80 minuti (ma avrebbero potuto essere di più) e a garantire un’esperienza di visione fluida e piacevole, ma non a innalzare il livello del dibattito collettivo. Nonostante la costruzione filmica segua infatti tutti i cliché del documentario più scolastico, alternando interviste e spezzoni di filmati d’epoca, l’impressione è che Moretti col documentario non si trovi a suo agio e che anzi giri con una certa pigrizia.
Il modesto abbattimento di qualche regola del genere – ad esempio con un paio di ‘incursioni’ in scena della voce o del volto del regista – non può che contribuire alla riuscita dell’insieme conferendogli carattere, ma rimane comunque l’impressione che Santiago, Italia sia di gran lunga il peggior film di Moretti da moltissimo tempo a questa parte; un lavoro di certo apprezzabile ma che potrebbe tranquillamente sembrare girato da un esordiente, e non da uno dei più importanti cineasti europei.
Le differenze tra oggi e ieri sono incolmabili, a livello culturale, sociale, politico ed economico. Addirittura a livello antropologico, se pensiamo all’impatto dei social media sull’esercizio della democrazia. Per questo concepire il documentario come una fotografia d’epoca, senza cercare una sovrapposizione esplicita con l’Italia presente, avrebbe potuto essere un’intuizione brillante e utile a stimolare la riflessione. Il finale però arriva improvvidamente proprio su un paragone pregno di significato ma non per questo meno semplicistico, contrapponendo l’Italia di allora all’individualismo di quella di oggi. Una scelta infelice nell’economia della costruzione retorica, cui seguono delle riprese di una banda cilena che definire dilettantistiche è riduttivo. Tra tutte le conclusioni possibili, forse la peggiore che riusciamo a immaginare.
Santiago, Italia è un film da vedere assolutamente in sala, anche solo per ricordarci che un altro mondo è possibile e che incorporare una cultura diversa dalla nostra non significa perdere la nostra identità – anzi. Non aspettatevi però una confezione impeccabile o una riflessione eccessivamente lucida, perché Moretti, forse mai così autoreferenziale, qui lavora con una svogliatezza che traspare dal risultato finale.