Premio Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Atlas di David Nawrath è stato presentato nel concorso principale del Torino Film Festival 36. L’opera prima del regista tedesco racconta la storia Walter (Rainer Bock, miglior attore del TFF36 a pari merito con Jakob Cedergren di The Guilty), che si occupa di traslochi in caso di sfratto. Considerato il migliore dei dipendenti dal suo capo Roland Grone (Uwe Preuss), il 60enne dal passato burrascoso viene coinvolto in un affare immobiliare che cela il riciclaggio di denaro di un boss mafioso: il progetto malavitoso prevede lo sfratto degli inquilini di un condominio, con gli appartamentI rivenduti in un secondo momento così da ottenere un importante profitto. A frenare il piano criminale è Jan (Albrecht Schuch), un giovane padre di famiglia che si oppone allo sgombero: Walter si ritrova a fare i conti con il proprio passato e da quel momento la sua vita prende una piega diversa. E dovrà così fare i conti con il suo boss corrotto…
ATLAS, UN MIX DI GENERI CHE NON CONVINCE
David Nawrath opta per un mix di generi: il thriller si mescola al dramma e al noir, una scelta che frena lo scorrimento e la linearità della sceneggiatura, firmata a quattro mani insieme a Paul Salisbury. Ambientato in una città tedesca non meglio precisata, Atlas ruota attorno a Walter: con alle spalle un passato di galera e di violenza, il sessantenne deve fare i conti con l’età che avanza e all’inizio della pellicola non sembra esternare alcun tipo di sentimento, suscitando nello spettatore curiosità riguardo ciò che nasconde. La svolta, sia per quanto concerne la trama che lo sviluppo del personaggio, arriva grazie all’incontro con Jan, la moglie e il piccolo bambino: in Walter scatta qualcosa, un innesco che lo spinge a cercare un’opportunità di riscatto, forse l’ultima chance data l’età ormai avanzata.
LODEVOLE L’INTERPRETAZIONE DI RAINER BOCK
Straordinaria l’interpretazione di Rainer Bock (La spia – A Most Wanted Man, Opera senza autore), che riduce al minimo la sua capacità espressiva per suscitare brama di sapere nello spettatore. A non funzionare è la tanta carne al fuoco, con il regista di Berlino che perde di vista il fulcro della sua opera e mescola temi su temi fino alla confusione più totale: la violenza della malavita e i legami familiari, ma anche gli eccessivi scontri fisici-verbali tra i protagonisti e una riflessione non tanto celata sull’immigrazione e il conseguente mutamento sociale. Un aspetto che stride con la buona costruzione del protagonista e sulla sua parabola, contaminata negativamente dal contorno.