A qualche mese dall’uscita in sala della corrosiva dramedy in costume La Favorita (qui la nostra recensione), con la quale il grandissimo cineasta greco Yorgos Lanthimos ha interrotto momentaneamente la pluriennale collaborazione con il geniale sceneggiatore (nonché pubblicitario, drammaturgo e scrittore) Efthymis Filippou imprimendo una svolta più ‘accessibile’ alla sua carriera, arriva nelle nostre sale Miserere, pellicola firmata proprio da Filippou che recupera pienamente quegli scenari surreali e perturbanti che hanno da sempre caratterizzato i lavori del regista ateniese.
MISERERE E IL GRANDE EQUIVOCO DEI FILM ‘ALLA LANTHIMOS’
Filippou è responsabile quanto e probabilmente più di Lanthimos di quello stile grottesco, allegorico, glaciale e tragico che abbiamo imparato ad amare con titoli come Kynodontas (Dogtooth), Alpeis (Alps), The Lobster o Il Sacrificio del Cervo Sacro (leggi qui la recensione). È infatti sua la firma più pesante in quegli script, e anche nei suoi altri lavori – quelli in cui non ha collaborato con Lanthimos – è evidentissima la sua matrice artistica, che si tratti di Chevalier di Athina Rachel Tsangari o di L di Babis Makridis. Tutti film che legano una rete di talenti formatisi in contemporanea nella Stavrakos Film School di Atene e che sembrano ‘alla Lanthimos’ ma in realtà, semplicemente, sono ‘alla Filippou‘.
Questa premessa è fondamentale per capire Miserere (titolo originale Oiktos, titolo internazionale Pity), nuova straordinaria collaborazione proprio tra il regista e autore Makridis e lo sceneggiatore Filippou, che dopo esser passata dal Sundance Film Festival e dal 36. Torino Film Festival sarà nelle nostre sale dal 24 ottobre con Tycoon Distribution. Miserere (Pity) infatti ripropone l’immaginario perturbante, i ritmi dilatati, la recitazione a tratti meccanica e anemotiva, e il gusto del paradosso che caratterizzano le opere più conosciute della cosiddetta Greek Weird Wave, il tutto arricchito dalla perversa ironia tipica del regista di L.
IN PITY LE PERVERSE GIOIE DELL’ESSER COMPATITI
Il protagonista di Miserere (Pity) – un inarrivabile Yannis Drakopoulos – è un avvocato rispettabile e abitudinario, ma anche un sofferente padre di famiglia la cui moglie è in coma profondo in seguito a un incidente. L’uomo ha paradossalmente trovato in quel dolore la propria identità, e la compassione con cui chiunque gli si rivolge lo fa in qualche modo sentire al sicuro, al centro dell’attenzione e protetto. Quando inaspettatamente la consorte si risveglierà perfettamente in salute dallo stato di incoscienza, il protagonista vedrà il mondo cui si era abituato crollargli sotto i piedi e inizierà un folle percorso di riconquista del proprio io.
«Il pianto nei film risulta sempre finto. È una delle cose più difficili da simulare.» ci ricorda il copione in un passaggio particolarmente sagace e metacinematografico del film, ed è proprio sulla spasmodica ricerca di un pianto ormai impossibile da ottenere, di un dolore che ‘salvi’ il protagonista dall’atarassia che si costruisce una pellicola tanto tragica quanto esilarante, percorsa da momenti di puro genio (come quello dello scambio di un oggetto di contrabbando nelle cabine di uno stabilimento balneare – non spoileriamo) e cadenzata da citazioni scritte su campo nero e cori epici – elementi che rielaborano e richiamano fortemente la ritualità della tragedia greca.
UN MAKRIDIS IMMENSO PER MISERERE, IL FILM PIÙ PERSONALE DI FILIPPOU
La mano registica di Makridis (che co-firma anche la storia) non delude, e se vediamo confermato il talento già emerso in L, non possiamo che notare anche una crescita stilistica e formale. Il linguaggio rimane coerente con quello tipico di un certo cinema ellenico (così come la fotografia, che pur segnando l’esordio al lungometraggio di Kostantinos Koukoulios ricorda molto da vicino il lavoro di Thimios Bakatakis), ma il piglio ironico e qualche soluzione intelligentissimamente ruffiana (come quella della scena appena prima dei titoli di coda) suggeriscono che Makridis sia pronto a fare il grande salto.
Senza nulla togliere a Makridis non possiamo però non tornare a parlare ancora una volta della sceneggiatura, e considerare che Filippou, vero responsabile della teatralità meccanica e fredda che tanto ha condizionato le recenti pagine di un cinema greco sempre più straniante, con Miserere (Pity) firma il suo lavoro più personale. Nel proporre una riflessione sulle emozioni reali e su quelle simulate, sulla funzione di queste come collante sociale e sulle conseguenze dell’incapacità di ‘sentire’ qualcosa, l’autore ateniese sembra parlare del suo stesso approccio alla narrazione, riproponendo tematiche a lui care e cristallizzandole in un concetto più ampio e assoluto; una sorta di comune denominatore della sua filmografia.
Non ci sono solo suggestioni filosofiche in Miserere (Pity) però, giacché la macchina narrativa – particolarmente lenta in fase iniziale – segue in realtà un’evoluzione inesorabile e appassionante, dimostrando come il duo Makridis-Filippou sia capace di un cinema tanto cerebrale quando accessibile. In un momento in cui la stella polare del cinema greco Lanthimos si sta aprendo a percorsi relativamente più tradizionali sul fronte hollywoodiano, è importante non dimenticare quanto ancora rimanga fertile il panorama cinematografico dei nostri cugini di Atene, e Miserere – che sembra quasi proporre una lettura simbolica delle recenti sventure politiche ed economiche del popolo ellenico – è la perfetta dimostrazione di quanto sia importante continuare a guardare oltre il mare Ionio.