Per i nati intorno al 2000 i Transformers sono quelli di Michael Bay: giganteschi alieni robot dai mille ingranaggi calati in frenetici, chiassosi e lunghissimi blockbuster dai toni epici e drammatici. Se però la saga di cinque film in un decennio, che pure ha macinato incassi record, non è mai riuscita a fare breccia nel cuore di chi ora è tra i 30 e i 40, è perché non ha capito un elemento su cui si sarebbe dovuta fondare e che invece ha sempre ignorato: la nostalgia.
Qual è infatti il senso di portare sul grande schermo una delle più popolari linee di giocattoli (con annessa serie di cartoni e fumetti) degli anni ’80 senza rispettarne lo spirito, il tono e l’iconografia? Perché decidere di riproporre qualcosa che un’intera generazione ha amato nell’infanzia stravolgendola e non, piuttosto, puntare su un concept nuovo; su un’idea originale?
UN FILM DEI TRANSFORMERS CHE PIACERÀ NON SOLO AI FAN DI MICHAEL BAY
A passare un colpo di spugna sull’universo reinventato da Bay ci pensa ora Bumblebee, prequel/spin-off/soft reboot/origin story (mal di testa) firmato da Travis Knight che arriva nelle nostre sale dal 20 dicembre e che promette di mantenere una certa continuità col franchise riscrivendone però completamente i codici. Il risultato è una storia che si colloca perfettamente nel solco delle precedenti, riproponendone in modo quasi pedissequo la struttura, e che però gode di una freschezza tale da diventare – di gran lunga – il miglior film della saga.
Siamo nella California del 1987 e, dopo un’introduzione di ampio respiro, incontriamo la giovane Charlie (la bravissima Hailee Steinfeld de Il Grinta) che si imbatte nel catorcio di un Maggiolino Volkswagen giallo del ’67. Quella vettura è ovviamente speciale, e sotto le sue sembianze si nasconde un robot danneggiato, impaurito e in fuga che presto stabilirà con la ragazza una connessione profonda. Mentre Bumblebee, tra un inconveniente e l’atro, cercherà di portare a termine una missione per i suoi fratelli Autobot, gli antagonisti Decepticon e le forze militari del Settore 7 capitanate dal tenente Jack Burns (John Cena) faranno di tutto per mettergli i bastoni tra le (quattro) ruote.
L’EMOZIONE DI VEDERE FINALMENTE UN BUMBLEBEE CHE SOMIGLIA A SE STESSO
Travis Knight è al suo secondo lungometraggio (che è anche il suo primo live-action) e se il suo straordinario debutto in stop motion con Kubo e la Spada Magica aveva raccolto un entusiasmo unanime, questo passaggio agli attori in carne, ossa e CGI non fa che confermarne il talento. L’effetto nostalgia cui accennavamo – molto più di moda ora che quando nel 2007 Bay inaugurò il franchise – passa principalmente da un radicale redesign dei robot, per cui il supervisore degli effetti visivi Jason Smith e il production designer Sean Haworth decidono di riproporre quasi senza alcuna alterazione lo stile del cartone degli eighties, che – ma guarda un po’ – funziona magnificamente sul grande schermo, rende l’azione più intellegibile e soprattutto crea una profonda connessione emotiva con quel pubblico cui avrebbe inizialmente voluto parlare la saga, e che invece aveva intercettato a malapena.
Un altro modo in cui Bumblebee riesce a rendere la storia più interessante ed emozionante rispetto al passato è recuperando un po’ di quell’innocenza avventurosa da film spielberghiano e proponendo in modo intimo e convincente il tropo della nascita di un’amicizia tra un umano e un alieno; obiettivo che viene conseguito regalando il giusto tempo all’approfondimento del legame tra i protagonisti, inserendo momenti dal tono lieve e mantenendo un buon numero di scene su scala ridotta. Tutti elementi che, per l’appunto, contribuiscono a rievocare il cinema del 1987 e conferiscono una vaga e piacevole sensazione di amarcord. Non mancano poi momenti di tenerezza (uno dei quali sembra clonato da una scena di Humandroid di Blomkamp) e le luminose e accoglienti location residenziali californiane fanno il resto insieme alle musiche a tratti spensierate.
TRAVIS KNIGHT È L’ANTI-MICHAEL BAY, E VA BENISSIMO COSÌ
Nonostante il tono quasi da film per famiglie, in Bumblebee non mancano numerosi e adrenalinici momenti d’azione, che però Travis Knight porta sullo schermo con un linguaggio anni luce lontano da quello ipercinetico di Michael Bay, ma altrettanto e anche più efficace.
La mano di Bay è sempre stata estremamente e ostinatamente stilizzata, tanto da dare origine al neologismo ‘Bayhem’ (gioco di parole con il vocabolo mayhem, caos). Il regista dei primi cinque Transformers, alfiere di un approccio iperspettacolare che ha dato un nuovo senso alla parola americanata, non conosce limiti quando si tratta di ‘stordire’ lo spettatore, e per farlo ricorre a ogni possibile espediente: carrellate circolari con lenti tele e soggetti in movimento verticale per creare un effetto parallasse, tagli frenetici su frame sempre infestati da un fiorire incontrollato di stimoli visivi, una grande sensibilità per il rapporto di scala accentuata con il ricorso a inquadrature molto strette o molto ampie, una texture di ostacoli visivi, fumo, polvere, graffi, scintille e bagliori lenticolari che sporca sempre la composizione.
Al continuo bisogno di strafare cui ci ha abituati Bay, Knight risponde con una visione non meno spettacolare ma molto più misurata, grazie alla quale lo spettatore riesce finalmente a capire e a gustarsi quel che succede sullo schermo e che sa alternare frenesia a momenti di ‘decompressione’, arditi movimenti di macchina a soluzioni più statiche, e che soprattutto sacrifica un po’ di epica a favore di una ben più efficace intimità – senza la quale, alla lunga, della guerra galattica allo spettatore non importerebbe poi molto.
Bumblebee arriva in un momento in cui nessuno sentiva il bisogno di un sesto film sui Transformers e, con nostra grande sorpresa, riesce invece a ravvivare un franchise che sembrava condannato e al contempo a relegarlo una volta per tutte (si spera) nel dimenticatoio. Chi è cresciuto con i film di Bay e li ha amati riconoscerà ancora i propri eroi, certo, ma Bumblebee promette di parlare a una nuova generazione di fan senza scontentare nessuna di quelle vecchie, e non è un risultato da poco. Speriamo che in futuro nessuno voglia vanificare l’eccellente lavoro svolto da Knight.