Durante tutta la prima mezz’ora, Flemish Heaven (Le ciel flamand), secondo titolo per il belga Peter Monsaert, sembra gettare le basi per un racconto interessante che ha le carte in regola per battere finalmente una strada diversa dal solito. Siamo sul confine tra le Fiandre Occidentali e la Francia in un bordello gestito da Sylvie (Sara Vertongen) e dalla madre. Eline (Esra Vandenbussc), invece, è ancora troppo piccola per capire cosa succeda all’interno di quella casa dalle intense luci rosse dove sua mamma e sua nonna vanno a lavorare ogni giorno. Non per questo però ne è meno affascinata. Declinato completamente al femminile, il film – disponibile in streaming gratuito fino al 31 dicembre su ArteKino – sembra voler raccontare il mondo della prostituzione in un’ottica in un certo senso libera dalla prospettiva maschile se non fosse che, allo scoccare di un certo metraggio, la magia si infrange e la pellicola abbandona il seminato per avventurarsi nel territorio del revenge movie con annessa redenzione del personaggio maschile adesso inspiegabilmente protagonista.
(seguono spoiler)
In un film in cui la vendita del corpo femminile occupa una fetta importante della trama sembra piuttosto scontato che si debbano fare i conti con le prepotenze e, talvolta, le violenze degli uomini. Non lo è affatto quando a una pellicola viene dato un taglio che non definiremmo femminista ma quantomeno interessato a emancipare la donna dal giogo del solito pappone di turno. Ma è dopo la violenza subita dalla piccola Eline che viene meno il castello di carte di un bordello gestito da donne dove l’uomo, seppur pagante, è costretto a sottostare a delle regole di buon comportamento. I rapporti già tesi tra le lavoratrici del sesso e Sylvie, che si occupa soltanto della parte amministrativa del locale, si avvicinano al punto di rottura e la donna, una sera, si piega persino a una notte di sesso con un uomo fin troppo insistente in una delle scene meno necessarie di tutto il film. Se già Flemish Heaven sembrava aver iniziato a perdere la giusta rotta, il momento in cui vediamo una donna indipendente soggiacere a un uomo il cui unico desiderio è quello di comprare il suo corpo per poterla così possedere e umiliare verbalmente non è di certo un passo nella giusta direzione. E a poco vale che Sylvie si sia venduta per guadagnare tempo e trovare l’occasione giusta di scattare una foto all’uomo mentre prosegue nella sua personale indagine per trovare il colpevole dell’aggressione alla figlia.
Collaterale alla storia principale di violenza, è quella che vede coinvolto lo zio Dirk, un autista di autobus conoscente di Sylvie, con cui Eline passa spesso del tempo dopo la scuola mentre la madre è impegnata a lavoro. Fin troppo presto si capisce quale sia la vera relazione che lega l’uomo alla bambina e l’incidente che la coinvolge funge quindi da pretesto per mettere in moto il lento riavvicinarsi di Sylvie e Dirk, adesso uniti da un obiettivo comune: cercare di farsi giustizia da soli mentre le forze dell’ordine si trovano in una situazione di stallo. È a questo punto che Flemish Heaven decide di abbandonare il mondo del bordello e i complicati rapporti di forza al suo interno per rivolgere completamente la sua attenzione al percorso di redenzione intrapreso da Dirk. Quello che poteva confermarsi un buon prodotto capace di investigare un tema complesso come l’abuso sessuale su una bambina e le ripercussioni sia sulla vittima che sulla madre, si trasforma, sebbene con una certa soluzione di continuità, in una sorta di dramma famigliare piuttosto zoppicante in cui il desiderio di vendetta diventa ormai l’unico motore per mandare avanti l’azione.