Sarebbe fin troppo facile infierire sull’infinità di problemi produttivi che hanno afflitto sin dall’inizio il DCEU, universo cinematografico della Detective Comics nato in tempi record in casa Warner per rispondere al lungo lavoro di costruzione reticolare operato dai Marvel Studios, e altrettanto rapidamente autodistruttosi in un caotico succedersi di defezioni, ripensamenti, forzature e insuccessi. Basti dire che, dopo il fugace cameo in Batman V Superman, ci eravamo già imbattuti nell’Arthur Curry/Aquaman di Jason Momoa nel calderone problematico che era Justice League. In Aquaman, diretto da James Wan dopo l’abbandono da parte dello stesso della regia del prossimo film su Flash, ritroviamo l’eroe metà umano e metà atlantideo diviso e attirato da due mondi, ma nonostante gli indubbi miglioramenti il DC Extended Universe non sembra affatto in buona salute.
UNA STORIA SEMPLICISSIMA IN UN CONTESTO AMBIZIOSO MA CONFUSIONARIO
La pellicola, in sala dal 1 gennaio, si configura come uno stand alone scolastico in cui il regista ha ben centrato il suo protagonista, decidendo però di gonfiare tutto il contesto. Ci troviamo davanti a uno script essenziale ed eccessivamente ordinato (caduta – ricerca – soglia – rinascita) contrapposto a un impianto visivo immenso e schizofrenico. Ritorna un problema evergreen per la DC, ovvero la poca uniformità, accompagnata in questo caso da una sovrapposizione di generi e stili diversi. La storia si destreggia tra animali marini, robottoni, armi laser, continui e disinvolti cambi di location fuori e dentro l’acqua; il più classico dei percorsi dell’eroe che però non sa scegliere se essere più vicino a Il Signore degli Anelli, a Indiana Jones o a Star Wars. Dal canto suo, James Wan, grande maestro dell’horror, funziona incredibilmente bene nelle profondità marine (uno dei migliori momenti del film) quando la luce si spegne e i mostri si avvicinano. Complice anche l’eccessiva durata di 143 minuti, Aquaman risulta però essere l’ennesimo titolo DC che non riesce a scorrere in maniera fluida come l’acqua per cui è stata spesa così tanta cura e attenzione.
LA RICERCA DELL’IRONIA FUNZIONEREBBE MEGLIO CON DELLA VERA IRONIA, MA MOMOA NON DELUDE
La pellicola non raggiunge infatti mai la dosata e funzionale ironia presente in Wonder Woman di Patty Jenkins, e anzi ricorda l’eccessiva e forzata ricerca di un comic relief che in passato era già stata incarnata dal Flash di Ezra Miller. Aquaman si impegna troppo per essere divertente, con il solo risultato che, per emulare lo stile comico-pop della Marvel, il povero Arthur sembri l’amico sfigato che non è bravo a raccontare le barzellette ma si ostina a provarci ogni volta.
Nonostante le battute impostate, lo spettatore vorrà bene al protagonista perché Jason Momoa lascia emergere, insieme agli addominali scolpiti, una personalità duplice, un’esistenza sempre in bilico tra due realtà: da un lato, il ribelle cool tutto rock n roll, sguardi in macchina e rallenty da wrestler, dall’altro un animo da vero outsider, un lupo solitario disinteressato a tutto e a tutti.
SPETTACOLARE, FANTASIOSO, COLORATO, MA BANALE
È noto ai più che l’universo DC non abbia mai brillato per i suoi villain – problema comune anche a più di un cinecomic Marvel. Questa volta, pensando di sostituire la qualità con la quantità, gli sceneggiatori hanno pensato di gestire ben due cattivi: brutte copie di fratelli complessati o personaggi vendicativi dagli outfit improbabili che riescono solo ad allungare un’ormai ricca lista di antagonisti dimenticabili. Chiudono il cerchio gli immancabili grandi nomi “acchiappa pubblico” che in questa pellicola sono un’immortale Nicole Kidman (qualche risata in sala quando Jason Momoa la chiama mamma) e Willem Dafoe.
James Wan e la Warner cercano a tutti i costi il rinnovamento dando vita a una particolare tipologia di cine-comic, che propone un viaggio vogleriano da accademia ma che prova a mutuare mille generi cinematografici, risultando però più anonima che ambiziosa: il grandissimo e fantasioso lavoro di world building non basta a nobilitare un’ossatura vista e rivista troppe volte. Un prodotto un po’ troppo lungo per dirsi di mero intrattenimento, capace forse di appassionare sul momento il pubblico meno esigente ma non di convincere palati un minimo più esigenti. Il più grande difetto di Aquaman è quello di aver preferito mirabolanti combattimenti a uno sviluppo reale dell’eroe, caratterizzato da un buon potenziale rimasto inespresso. C’è da sperare che il futuro del personaggio ci riservi storie magari un po’ meno spettacolari, ma scritte meglio; non è pero affatto detto che il DCEU abbia un futuro oltre il breve termine.