Basterebbe la prima scena Una notte di 12 Anni per capire dove ci vuole portare Alvaro Brechner: le macchina da presa gira intorno alla torre centrale di un carcere, restituendo una ripresa circolare che ci fa osservare qualunque cosa sta succedendo attorno a noi. È uno sguardo panottico, dove la repressione e dittatura è totalizzante, senza via di fuga. Ovunque noi guardiamo c’è soltanto carcere.
La vera storia di José Pepe Mujica e dei rehenes uruguaiani
Quel carcere è uno dei tanti in cui José Pepe Mujica (il sempre straordinario Antonio de la Torre), Mauricio Rosencof (Chino Darín) e Eleuterio Fernández Huidobro (Alfonso Tort) vengono imprigionati per la loro militanza politica nel movimento di estrema sinistra dei Tupamaros quando nel 1973 l’Uruguay precipita nella dittatura militare di Bordaberry: Rosso, Gneto e Pepe sono rinchiusi in isolamento senza processo e in condizioni disumane, tra torture fisiche e psicologiche. Stiamo parlando non di semplici carcerati ma di veri e propri ostaggi, rehenes dello Stato Militare, ossia oppositori che, in caso di ulteriori azioni sovversive dei Tupamaros in libertà, sarebbero stati immediatamente fucilati. La loro detenzione dura, appunto, 12 anni: dopo il ritorno alla democrazia nel paese i tre torneranno alla vita civile e all’attivismo politico. Nel 2010, uno di loro, José Mujica, sarà eletto Presidente dell’Uruguay.
La prigionia nella sua essenza
Se da una parte l’impianto della pellicola guarda direttamente al prison-movie di denuncia civile, dall’altra l’innovazione di Brechner è quella di spogliare il film di ogni dinamismo esterno alla prigionia stessa. Infatti nella quasi totalità dei film carcerari ci sono almeno due caratteristiche: l’intento della fuga e la riproposizione di un micro-universo sociale all’interno del penitenziario. Una notte dei 12 anni rifugge entrambi questi sviluppi: non si tenta di fuggire, né è possibile ricreare una socialità nuova a causa dell’isolamento forzato. L’intera vicenda è piuttosto un viaggio esperenziale dentro l’interiorità di tre individui tenuti separati, nella la loro segregazione alienante, nella silenziosa e tormentata solitudine della loro anima. Brechner racconta insomma la prigionia nella sua essenza ed essenzialità, quella della privazione totale della libertà del corpo e della mente.
Un’esperienza antropologica
In questa lenta discesa all’inferno l’unico modo per sopravvivere è reinventare il pensiero attraverso il talento, l’ironia e la fantasia. Ecco allora che Una notte di 12 anni più che un prison-movie diventa una vera e propria esperienza antropologica che riporta l’essere umano al gradino zero della propria evoluzione sociale e culturale. La comunicazione ad esempio diventa una necessità primordiale, così come la capacità di relazionarsi se non con gli altri anche e soprattutto con se stessi e con la propria lucidità sempre più messa a rischio. Qua sono straordinarie le potenzialità mimetiche dei tre attori protagonisti e soprattutto di Antonio de la Torre, monumentale nel restituire al meglio l’angoscia interiore di Pepe Mujica – che soffrì realmente di gravi problemi mentali, arrivando ad avere allucinazioni uditive e coltivando i primi sintomi della paranoia.
In bilico tra ragione e pazzia
Luce e oscurità, silenzio e rumori, sogno e verità: i tre protagonisti di Una notte dei 12 anni sono continuamente in bilico tra la ragione e la pazzia, in una lotta estenuante per non farsi sfuggire il senso di appartenenza al reale. Qui è bravissimo Brechner a incalzare in un montaggio che alterna ricordi del passato e allucinazioni del presente, utilizzando ora la macchina a spalla e ora quella statica. L’uso della fotografia e del sonoro contribuisce poi notevolmente all’insieme, con la prima che si ispira per stessa ammissione del regista e del DOP alle atmosfere oscure e disturbate della graphic novel Arkham Asylum: A Serious House on Serious Earth, illustrata da Dave McKean.
Ma anche alla fine di quella “notte di 12 anni” arriva l’alba: arriva però con la stessa imperturbabilità con cui è si è sprofondati in quel buio. Non è un finale né clamoroso né tanto meno retorico quello che ci concede Brechner. Qualcosa di più una sopravvivenza: si ritorna liberi, ma di una libertà nuova, priva di rabbia o di vendetta. E soprattutto consapevoli dell’importanza estrema di ogni respiro di vita, anche la vita dei propri nemici. Lo stesso José Mujica l’ha ricordato, anche da Presidente: “in prigione ho pensato che le cose hanno un inizio e una fine. Ció che ha un inizio e una fine è semplicemente la vita. Il resto è solo di passaggio.”
Una Notte di 12 Anni sarà in sala dal 10 gennaio con BiM Distribuzione in collaborazione con Movies Inspired.