Gli adattamenti cinematografici degli anime o dei fumetti a volte creano grossi grattacapi a Hollywood: che sia per il cambio di estetica o per i limiti creativi legati al raggiungimento di un pubblico trasversale, rendere giustizia ad alcuni grandi prodotti pop è, ancora oggi, una sfida non facile da vincere. Creare una buona trasposizione significa spesso dover sacrificare degli elementi dell’opera originale per inventarne altri: è per questo motivo che il Thanos di Avengers: Infinity War è passato dall’essere un maniaco nichilista affascinato dalla morte a diventare un calcolatore ossessionato dal bilancio demografico. Pur considerando questi fattori, Alita: Angelo Della Battaglia, il nuovo film di Robert Rodriguez (Dal Tramonto all’Alba, Sin City, Grindhouse – Planet Terror) in uscita nelle sale italiane il 14 febbraio su distribuzione 20th Century Fox, purtroppo è una pellicola che funziona solo in parte.
LA GENESI DI UN’EROINA FUORI DAGLI SCHEMI
Siamo nel 2563, e la società è ormai distrutta: solo la città di Zalem rimane in piedi a rappresentare tanto il picco della civilizzazione umana quanto i privilegi di un’elite ristrettissima, mentre il resto del mondo vive circondato dai suoi scarti. In mezzo ai rifiuti il dottor Dyson Ido (Christoph Waltz) trova il corpo cibernetico di una ragazzina, Alita (Rosa Salazar). Dopo averle dato arti nuovi e il nome di sua figlia – avuta con l’ambiziosa e spietata ex abitante di Zalem Chiren (Jennifer Connelly) – Ido introduce Alita al mondo della Città di Ferro, dove conosce il giovane Hugo (Keean Johnson), la Motorball (uno sport ibrido che mescola le lotte dei gladiatori e le corse ad ostacoli per robot) e la spietata realtà degli Hunter Warrior, cacciatori di taglie e unica forma di “vigilanza” della città. Durante una lotta con un criminale, Alita risveglia i suoi ricordi di guerriera e decide di combattere contro Zalem e contro il sistema corrotto della città, governata dal malavitoso Vector (Mahershala Ali).
UN’OPERA VISIVAMENTE NOTEVOLE CHE HA PAURA DI OSARE
Già dalla sinossi appare chiaro che il film ha molto da raccontare, basti pensare alle sottotrame (come quella della guerra che ha preceduto gli eventi del film oppure quella legata alla tecnologia aliena perduta) e ai numerosi personaggi; la sceneggiatura di James Cameron (produttore della pellicola) e la realizzazione grafica dallo stesso team di Avatar, con un Robert Rodriguez desideroso di redimersi dai suoi ultimi insuccessi, poteva davvero regalare grandissime soddisfazioni. Così però non è stato.
Alita – Angelo Della Battaglia, visivamente parlando, è notevole. La CGI è molto buona, se non addirittura strabiliante in alcune sequenze. Le scene d’azione sono veloci e ben coreografate e, in alcuni punti, sono davvero in grado di sorprendere e catturare anche lo spettatore più disinteressato (parliamo comunque di un film da 200 milioni di dollari di budget). In particolare, Alita è a dir poco perfetta: la motion capture è fantastica e rende il suo personaggio magnifico in ogni suo movimento. La bizzarra scelta estetica di riprodurre un aspetto simil-manga, dato dagli enormi occhi della protagonista, si rivela vincente e rende Alita una protagonista adorabile, evidenziando la sua natura artificialmente straniante e il contrasto tra dolcezza e letalità che l’ha resa famosa quasi 30 anni fa con il debutto del fumetto. Sfortunatamente, il design del personaggio principale è l’unico rischio che la pellicola si sente di correre.
Sebbene non manchino scene forti e quasi brutali, per la maggior parte del tempo si fatica a capire quale sia il tono del film, che risulta quasi la versione family friendly dell’opera originale: se ciò impatta in maniera marginale sull’efficacia delle scene d’azione, ha invece un effetto devastante sulla forza drammatica del lungometraggio. Dopo una buona introduzione, che delinea i personaggi, la carica emotiva si esaurisce a metà strada, lasciando con l’amaro in bocca. Sicuramente anche le performance poco motivate dei tre premi Oscar (Waltz, Connelly e Ali) e i dialoghi poco efficaci non aiutano, penalizzati da alcune scelte di montaggio che suscitano qualche perplessità (come dei flashback nel mezzo di una scena d’azione).
Non c’è però da stupirsi che l’adattamento denoti incertezze nel tono e qualche problema nel tenere insieme la moltitudine di spunti: Alita – Angelo Della Battaglia si basa su ben 5 volumi del manga ed è stato ridotto dalle 3 ore dello script originale di James Cameron (che produce, firma la sceneggiatura insieme a Laeta Kalogridis e che inizialmente era legato anche alla regia) fino alle 2 ore e 20 minuti della versione definitiva. È probabilmente proprio a causa della scelta di condensare una storia incomprimibile che lo svolgimento del film risulta spesso meccanico, innaturale e narrativamente incompleto; ma al contempo non stupisce che l’idea di portare in sala un metraggio di 180 minuti sia sembrata fin troppo rischiosa ai produttori.
Le difficoltà di adattamento sono evidenti, e non a caso tra l’idea iniziale di portare Alita sullo schermo (nata su consiglio di Guillermo del Toro a Cameron) e l’uscita in sala sono intercorsi ben 19 anni, eppure il senso dell’opera è comunque stato rispettato; diversamente da quanto accaduto ad esempio con la versione cinematografica di Ghost In The Shell, i cui contenuti filosofici erano stati meglio espressi da altre pellicole hollywoodiane ben precedenti – una su tutte Matrix. Robert Rodriguez e James Cameron in Alita – Angelo Della Battaglia tagliano sapientemente elementi cinematograficamente superflui del manga ma ne conservano altri di minore impatto, trasformano la spietata “città discarica” dell’opera originale nella più solare “città di ferro”; ma l’intenzione – centrata solo in parte – è quella di mantenere le tinte cupe e distopiche di Alita. Cambiare qualcosa per restare fedeli.
Pur rimanendo uno spettacolo per gli occhi, Alita – Angelo Della Battaglia è però un prodotto dagli esiti altalenanti; un vero peccato, perché con un processo produttivo più lineare avrebbe potuto rivelarsi una pietra miliare del cinema fantascientifico d’azione. Sia chiaro, non si tratta un brutto film: sa essere gradevole, spensierato e affascinante, ma rimane uno di quei lungometraggi che si fatica a ricordare pochi minuti dopo la proiezione. E questo forse è il vero peccato originale dell’adattamento di Cameron, Kalogridis e Rodriguez.