Cafarnao di Nadine Labaki è stata una delle pellicole più apprezzate della 71. edizione del Festival di Cannes: vincitore del Premio della Giuria, il lungometraggio dell’attrice e regista libanese (presentato anche all’ultima Festa del Cinema di Roma) è stato giudicato dagli addetti ai lavori in maniera talmente positiva da entrare nella prestigiosa cinquina dei film candidati agli Oscar 2019 come Miglior Film Straniero. L’ultima fatica della Labaki (che uscirà nelle sale italiane il 18 aprile su distribuzione Lucky Red) racconta, attraverso la storia di un giovanissimo protagonista, la difficile vita quotidiana dei quartieri più poveri di Beirut.
UN BAMBINO DENUNCIA I SUOI GENITORI PER AVERLO MESSO AL MONDO
Zain (Zain al-Rafeea) vive, assieme alla sua numerosa famiglia, in un quartiere umile della capitale libanese. Il bambino, accusato di aver commesso un reato, porta i genitori in tribunale e avvia una causa legale molto particolare: denuncia infatti il padre e la madre per averlo messo al mondo, condannandolo ad una vita piena di miseria.
UN’OPERA DAL SAPORE NEOREALISTA CAPACE DI CONQUISTARE
Al terzo lungometraggio da regista, Nadine Labaki realizza il suo film più importante: prendendo spunto dall’insegnamento del neorealismo (nella sua evoluzione più moderna, ovvero il cinema dei fratelli Dardenne), l’opera mette in scena in modo credibile un paese poco noto agli occidentali come il Libano. Attraverso uno stratagemma narrativo di indubbia efficacia, Cafarnao ci presenta il calvario di un bambino costretto a crescere troppo in fretta: è impossibile non provare affetto e tenerezza nei confronti di Zain; dietro al suo atteggiamento da duro infatti il piccolo protagonista nasconde tutte le fragilità dovute alla giovanissima età e ad una condizione economica-familiare precaria. Nel corso del lungometraggio Zain si trova a dover affrontare moltissime vicissitudini, in un crescendo emotivo che coinvolge anche lo spettatore meno avvezzo al cinema d’autore: se da un lato esaspera in maniera quasi eccessiva il dramma umano vissuto dal bambino, dall’altro la Labaki sa benissimo che questo era l’unico modo per attirare l’attenzione del pubblico.
Dal punto di vista registico Nadine Labaki (che ha anche curato la sceneggiatura) non presenta il classico cinema autocompiaciuto ed ermetico ‘da festival’, ma si rivela una film-maker capace di utilizzare tutte le risorse che il mezzo cinematografico offre: dalle riprese aeree al ralenti fino alla predominante presenza della macchina a mano, la cineasta dimostra non solo di saper girare benissimo ma anche di gestire perfettamente il ritmo narrativo. Tuttavia la vera forza trainante della pellicola è Zain al-Rafeea: il suo volto e la sua interpretazione così naturale riescono a catturare l’essenza di un personaggio estremamente sfaccettato.
Dopo L’Insulto di Ziad Doueiri, il Libano regala un’altra opera di spessore in grado di conquistare anche gli americani: nonostante sia difficilmente prevedibile un trionfo (Roma di Alfonso Cuarón è il grande favorito per la vittoria come Miglior Film Straniero) Cafarnao è un film che merita una vetrina importante come gli Oscar, una potenziale rampa di lancio per la carriera di un’autrice di talento.