Presentato al Festival del Cinema di Berlino nella sezione Panorama e ora in concorso al Lucca Film Festival e Europa Cinema 2019, The Day After I’m Gone è l’opera prima dell’israeliano Nimrod Eldar, un esperto tecnico del suono che si è messo in discussione come regista con un intenso dramma familiare.
LA STORIA DI UN RAPPORTO PADRE-FIGLIA DA RICOSTRUIRE
Il film mette in scena la vicenda di Yoram (Menashe Roy), un veterinario che lavora nello zoo di Tel Aviv che, dopo aver scoperto le tendenze suicide della figlia Roni (Zohar Meidan), rimette in discussione le sue certezze per ricostruire il rapporto con la ragazza. Per questo motivo, Yoram decide di portare Roni in viaggio per fare visita alla famiglia della madre: in mezzo al deserto che circonda il Mar Morto, i due imparano non solo a conoscersi meglio ma anche a guardare dentro loro stessi con un approccio diverso.
UN FAMILY DRAMA CREDIBILE CHE NON DEGENERA NEL MELODRAMMA
Alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa, Nimrod Eldar dimostra di essere un autore interessante: con un soggetto del genere a disposizione, era facile cadere nel sentimentalismo ma il regista israeliano è stato bravo a non farsi trascinare nella trappola del melodramma più becero. Eldar costruisce in maniera decisamente riuscita la caratterizzazione psicologica dei protagonisti, soprattutto quella di Yoram: l’uomo infatti viene descritto come una personalità debole ed indifferente, incapace di prendere decisioni; il suo immobilismo però rovina il rapporto con la figlia, convinta del fatto che la sua vita non abbia ormai più valore.
Nonostante il film nella parte finale perda parte della sua forza emotiva, The Day After I’m Gone è un’opera lucida in cui il non detto gioca un ruolo fondamentale: la messa in scena, molto più dei dialoghi, rappresenta efficacemente la freddezza del rapporto tra Yoram e Roni, costretti a riavvicinarsi dopo aver quasi raggiunto un punto di non ritorno delle rispettive esistenze.
Il lungometraggio utilizza il dramma familiare anche per parlare d’altro, ovvero dell’attuale situazione politica israeliana: i due infatti, quando attraversano il deserto, si trovano davanti un insediamento ebraico nello stato palestinese (le tensioni tra padre e figlia, incapaci di comunicare tra loro, sono una metafora non particolarmente sottile del rapporto difficile tra Israele e Palestina).
Visivamente Eldar utilizza un approccio naturalistico ma curato per rendere la storia estremamente credibile (importante anche il lavoro sul sound editing, ad opera dello stesso regista) mentre, da un punto di vista del ritmo, la durata del film (appena 98 minuti) permette allo spettatore di seguire agevolmente una storia dal passo compassato ma dalla carica drammatica notevole. Per essere un esordio, The Day After I’m Gone mostra la sorprendente maturità di un cineasta dal futuro assicurato.