La prima stagione di The Sinner (ora disponibile su Netflix) proponeva una variazione sul tema crime piuttosto originale: Cora (interpretata da Jessica Biel), una donna ordinaria e tranquilla, mentre si trova in spiaggia con la famiglia, uccide, pugnalandolo diverse volte al collo, un uomo che non conosce. A questo punto il detective Harry Ambrose (Bill Pullman) si trova a dover indagare sulle ragioni dell’omicidio e sulla vita di questa donna, sulla sua storia e su cosa le sta attorno.
Come accadeva in quel primo ciclo, anche nelle seconda stagione di The Sinner (trasmessa in Italia da Premium Stories) l’indagine piuttosto che restringersi tende ad allargarsi. The Sinner 2 comincia infatti con una famiglia, composta da madre, padre e il piccolo Julian (Elisha Henig), in gita verso le cascate del Niagara da una cittadina nello stato di New York. Durante una sosta notturna in un motel però Julian uccide i due adulti tramite un tè preparato con una pianta velenosa. Una morte assurda, come nella prima stagione. Julian è colpevole, chiama lo polizia e confessa immediatamente. A questo punto Harry Ambrose comincia a indagare sul passato del bambino e sul luogo dove vive: in una setta a Mosswood.
COME PRENDERE IL MEGLIO DAI CLICHÉ PER COSTRUIRE UNA STORIA DI SUCCESSO
Se ci limitassimo a “leggere su carta” la seconda stagione di The Sinner penseremmo che non si tratta in fondo di nulla di nuovo. La vicenda è ambientata in una piccola città, come in Sharp Objects; quella classica comunità americana in cui tutti si conoscono e dove pare non succeda mai nulla. Poi c’è una setta, ovvero un agglomerato di persone che spessissimo vediamo rappresentate in modo piatto nella cinematografia americana, a partire dal recente Mandy, nel quale tutti gli adepti venivano rappresentate come semplici pazzi maniaci.
In The Sinner questi cliché sono piacevolmente assenti. L’essere ambientata in una piccola città fortunatamente non contribuisce in nessun modo alla stereotipizzazione della serie. Dal canto suo la setta è chiaramente stata ideata sulla base di comunità realmente esistenti. Basti pensare alle “sessioni” che si fanno a Mosswood tramite un vecchio metronomo, che riporta immediatamente alla mente Scientology e i suoi particolari metodi di “ascolto” tra Auditor e Preclear. Non solo: la “divinità” – se così possiamo chiamarla – che viene adorata a Mosswood è parecchio originale (non vi spoileriamo nulla, tranquilli).
A questo infine aggiungete un particolare che sembra marginale ma è importante poiché destinato inevitabilmente a “dividere”: The Sinner non fa mai paura. Non intendiamo quel tipo di pausa da jumpscare, quanto piuttosto quel terrore che viene dalle atmosfere, come succedeva in Twin Peaks o nella già citata Sharp Objects. Nella serie prodotta da Jessica Biel la cifra horror è completamente fuori dall’equazione, trasformando così un prodotto che si sarebbe potuto risolvere in un noioso insieme di otto episodi da quarantacinque minuti che raccontano di una setta e di riti dell’occulto. Nulla di tutto questo: la seconda stagione The Sinner è molto più intelligente.
UN’INDAGINE IN DIVENIRE PER UNA SERIE CON EPISODI SEMPRE DIVERSI
Il termine “serie antologica”, come sovente succede con i generi artistici, può voler dire tante diverse cose. Black Mirror e Love Death + Robots sono due serie antologiche, poiché ogni episodio è accomunato da uno stile di esecuzione e da un genere – in quei due casi la fantascienza e l’animazione. Come esistono anche i documentari antologici o i programmi televisivi. Le due stagioni di The Sinner hanno due storie diverse, che in comune hanno ovviamente un modo preciso di narrare i fatti e poi un protagonista, Harry Ambrose. Tuttavia l’antologia non è costruita su di lui, come succede con Sherlock; nella seconda stagione Ambrose è un personaggio nuovo, invecchiato, con una storia personale in più da scoprire.
Proprio per questo vi consigliamo questa piccola serie di USA Network: perché ogni episodio è una storia a sé. The Sinner non annoia mai perché è in continuo divenire: introduce nuovi personaggi, lavora splendidamente con i flashback e non ha paura di farci cambiare idea sui protagonisti mano a mano che li conosciamo. Le sorprese ci sono, sono interessanti e solo in rarissimi casi molto scontate. L’originalità del prodotto diretto da Antonio Campos sta nel modo in cui lo spettro d’ampiezza dell’indagine piuttosto che restringersi sempre di più verso alcuni sospettati – come succede nei crime canonici – si espande verso il passato dei protagonisti e ogni episodio diventa così più di una semplice prosecuzione del precedente.
The Sinner non ha la pulizia tecnica dei grandi prodotti televisivi americani – specialmente la fotografia è molto carente rispetto a quello che siamo abituati a vedere – e nonostante il pur conosciuto Pullman e la sempre ottima Carrie Coon (The Leftovers, Fargo) non può contare su grandi star nel suo cast. Tuttavia, sarebbe un grave errore non dargli una possibilità.