Un racconto autobiografico per il film della maturità di Pedro Almodovar: Dolor Y Gloria. Presentato al Festival di Cannes 2019, rappresenta una dichiarazione d’amore al cinema e al grande schermo, con il regista che si lascia andare sul piano emotivo come mai prima d’ora. Il ventiduesimo lungometraggio dello spagnolo verte su Salvador Mallo (Antonio Banderas), un regista sul viale del tramonto alle prese con il declino fisico, affetto da diverse malattie psicosomatiche. Dolori fisici ma non solo: la depressione ed una crisi creativa molto forte gli impediscono di lavorare, di girare quei film che gli hanno regalato la gloria. Nella sua memoria tornano i giorni dell’infanzia a Paterna (Valencia), la scoperta dell’omosessualità e il primo amore da adulto nella Madrid degli anni Ottanta, fino alla rottura mai sanata nel suo cuore e al dolore…
DOLOR Y GLORIA, LA CHIUSURA DELLA TRILOGIA DI ALMODOVAR
Dopo La legge del desiderio e La Mala Educacion, Pedro Almodovar con Dolor y Gloria chiude un’ideale trilogia di memoria e tempo con protagonista un regista. Il maestro di Calzada de Calatrava ha spiegato che parte della sua vita parafrasata, ma qui riesce ad esplicitare ciò che mancava ne La Mala Educacion, anch’esso legato al suo vissuto giovanile: un film a cuore aperto in cui la speranza di rinascere è manifesta fin dall’inizio. Salvador Mallo ha un tracollo di dipendenze, e passa dall’alcol all’eroina per cercare di trovare quella pace interiore che manca da tempo: questo dolore lo porterà nell’abisso e al ricordo dell’infanzia, legato soprattutto alla madre Jacinta (Penelope Cruz). Dipendenza dalla droga, ma anche dal passato, dall’amore e dal cinema. La gloria è rappresentata dalla ricchezza, dalle opere arte e dal lusso, mentre il dolore è rappresentato da Salvador stesso e dal vuoto causato dall’impossibilità di continuare a dirigere film. La scrittura e il cinema come terapia per salvarlo da ciò che lo porta all’autodistruzione.
ANTONIO BANDERAS, INTERPRETAZIONE DELLA VITA
Salvador Mallo è interpretato da un Antonio Banderas in stato di grazia, premiato con la Palma per l’interpretazione maschile a Cannes, che rappresenta Almodovar in tutto e per tutto: riproduce tutti i suoi tic, veste i suoi abiti e indossa le sue scarpe, vivendo in una villa dove campeggiano tutti i suoi cimeli, le opere e gli oggetti. Uno dei punti di forza di Dolor y Gloria è legato alla bravura di Almodovar nel rendere un racconto fortemente autobiografico in universale: il personale si converte in comune per lo spettatore, dall’incontro con la madre e con l’amore del passato passando per tutti quei capitoli della vita mai chiusi e che riguardano tutti e non solo Salvador Mallo. Il paragone tra Almodovar e Fellini ed il suo 8½ regge fino ad un certo punto: il regista spagnolo non va nella direzione del regista italiano, omaggiato con un poster che appare in una sequenza molto importante. L’Almodovar del passato che incontra quello del presente: dall’omaggio alla sua amata Mina ai colori vibranti e intensi, con Dolor y Gloria che segue le orme di Julieta per quanto riguarda la narrazione spoglia e austera.
Dolor y Gloria è insieme a Volver l’opera più importante della cinematografia di Almodovar, ma non si tratta assolutamento di un film-testamento. Nessuna nostalgia ma tanta consapevolezza, la chiusura di un cerchio esistenziale attraversato da dolore e gloria: il miglior Pedro di sempre.