Se le persone di buon senso amano ricordare quale ottimo esercizio di obiettività sia studiare un fenomeno da un punto di vista esterno, è proprio a questo principio che sembra appellarsi il regista Gianluca Vitiello con il suo documentario Napolitaners, presentato in diversi festival internazionali e ora, dopo una serie di uscite limitate in sala, finalmente in home video con CG Entertainment.
NAPOLITANERS: PARTENOPEI ‘IN FUGA’
La pellicola è una dichiarazione di amore non priva di amarezza verso la città di Napoli da parte di suoi cittadini che, per un motivo o per l’altro, si sono trovati a ‘emigrare’ in altre città d’Italia o del Mondo. Vitiello stesso, classe 1976 e voce di RadioDeeJay, è di origini partenopee ma vive da anni a Milano, dove – come ci racconta – migliaia di Napoletani si tengono in modo più o meno attivo in contatto, quasi a voler coltivare e preservare un’identità potente, che non si può e non si vuole scrollarsi di dosso.
Quel senso di appartenenza è comune a chiunque si sia lasciato alle spalle una città tanto bella e maledetta, e così lo ritroviamo a Tokyo, Berlino, New York e Ibiza, dove il cineasta ci accompagna per mano a conoscere volti e storie dei suoi Napolitaners.
A interessare Vitiello non c’è tanto e solo la nostalgia, che pur è presente nell’inevitabile malinconia di chi è lontano dalle proprie radici, delle quali non può non sentire il richiamo. La ‘napoletanità’ di queste anime in fuga, una sorta di retaggio quasi ancestrale che rende tanto peculiare il capoluogo campano, diventa così una marcia in più che può arricchire esperienze umane diversissime tra loro. Nel docufilm infatti non troviamo solo il classico stereotipo di Napoletani che si allontanano dalla loro terra per finire a pare i pizzaioli o i ristoratori (che, sia chiaro, nel film non mancano), ma anche ragazzi capaci di distinguersi nel mondo della cultura, della scienza, delle professioni o dell’imprenditoria tout court.
NAPOLI C’È ANCHE QUANDO NON C’È
Il punto di vista di Vitiello è interessante proprio perché è lontano dalla montagna di cliché dai quali normalmente (e non senza fondamenti nella realtà) viene soffocata l’identità di un luogo. La Napoli di Napolitaners è raccontata in absentia: la si ‘sente’, sembra quasi di percepirla nella sua ricchezza di tradizioni, sfumature, unicità, eppure non la si vede mai. Le uniche immagini nelle quali intravediamo la città oggetto della riflessione dell’autore sono un paio di ‘icone sacre’ dello straordinario street artist Jorit Agoch, che ritraggono San Gennaro e Maradona con i suoi caratteristici segni tribali sul volto, simbolo di un’identità locale e al contempo di un’appartenenza alla ‘tribù umana’, in perfetta coerenza con le intenzioni della pellicola.
Quella di Napolitaners è una storia che si snoda in cinque tappe per circa 80 minuti di durata, ma che ha tutta la dimensione labirintica di vie e vite che si diramano dal cuore pulsante partenopeo per toccare il resto del mondo, e che trae dal poetico ossimoro di chi ama un luogo e se ne allontana un’insospettabile forza cinematografica.