Il Dominio (A Herdade) – titolo internazionale The Domain -, presentato in concorso a Venezia 76, insegue il modello di racconto de Il Gattopardo di Tomasi da Lampedusa, un’opera che tratteggia la grande storia del nostro paese attraverso gli occhi di una famiglia aristocratica.
La lancetta temporale, nel film di Tiago Guedes, si sposta però parecchi anni più avanti: la storia comincia durante il fascismo, per poi proseguire fino al 1991. Nei suoi lunghissimi 164 minuti, Il Dominio (A Herdade) segue le vicende della ricca e aristocratica famiglia di João Fernandes (Albano Jerónimo), il quale ha ereditato una tenuta immensa nei dintorni di Lisbona e la gestisce con il pugno di ferro. Fernandes è il “padrone” che sta dalla parte dei comunisti e dei lavoratori, mentre nella sfera familiare è un comandante dispotico e severo che non riesce ad instaurare un rapporto stabile con la moglie Leonor (Sandra Faleiro) e il figlio Miguel (João Pedro Mamede).
Al centro di Il Dominio (A Herdade) ci sono i temi fondamentali di quello che viene classificato come “cinema d’autore”: la famiglia, la politica e la storia. E la storia politica del novecento portoghese porta il nome di Salazar, il dittatore dalla visione fascista che governò la nazione dalla metà degli anni ’20 fino alla morte nel 1970. Il ritorno della democrazia, i Lusitani, lo accolsero con gioia nel 1974 a seguito della Rivoluzione dei Garofani, evento che sta al centro e fa da spartiacque nel magmatico film di Guedes.
Nella prima parte, in realtà, Il Dominio (A Herdade) si presenta piuttosto bene. Il regista è bravo a raccontare gli onnipotenti di una volta, i grandi proprietari terrieri. La tenuta Fernandes è una piccola città: è necessario guidare per andare da un luogo all’altro, serve una mappa per orientarsi e addirittura Leao ha fatto costruire una piccola prigione e una chiesa, nonché un bar. Decine di persone lavorano e vivono lì, al servizio della famiglia: gli uomini si occupano della terra e le donne della casa. João è educato e clemente con i dipendenti ma è disinteressato alla moglie e ai figli.
Inizialmente João è un personaggio pluridimensionale, dato che rappresenta, chiaramente, un “ponte” fra il passato e il futuro. Insiste che i figli si prendano cura, una volta cresciuti, della tenuta che da anni è di proprietà della sua famiglia, è fissato con le tradizioni ma al contempo non si comporta come uno sfruttatore: supporta i lavoratori, lotta per i loro ideali e si batte in prima persona per liberarli quando finiscono in prigione per difenderli.
Ciò che manca tremendamente al copione di Guedes è la caratterizzazione degli altri personaggi, nonché un intreccio convincente. Il “colpo di scena” che sta al centro del film si può facilmente comprendere dopo un paio di scene e i rapporti fra genitori e figli non evolvono mai. Persino la differenza fra le epoche, a livello puramente scenografico e di costumi, non si sente come dovrebbe.
The Domain (A Herdade) ha tanti incipit, diversi temi potenzialmente interessanti ma a conti fatti è un film che ‘non comincia mai’. Le rivolte non vengono mostrate, le condizioni dei lavoratori nella tenuta rimangono come erano prima della Rivoluzione dei Garofani – a differenza di Novecento di Bertolucci, in questo film non esiste una differenza fra il figlio del “padrone” e quello del proletario – e, come detto, il grande colpo di scena che dovrebbe stravolgere il film è un’intuizione a cui lo spettatore arriva dopo poche scene. Ciò che rimane, in conclusione, è un lunghissimo film nel quale ogni dialogo è tirato per le lunghe e dove nessuno dei “grandi” temi – famiglia, storia e politica- nonostante le quasi tre ore del film, viene trattato con sufficiente attenzione e inventiva. Difficile pensare che fuori dai contesti festivalieri il film possa arrivare ad avere una distribuzione nelle nostre sale.