Nell’elenco dei film più attesi del 2019 non si può non menzionare l’ultima fatica del regista premio Oscar Martin Scorsese, The Irishman: dalle difficoltà produttive al cast all star, fino ad arrivare alle recenti polemiche sulle dichiarazioni del cineasta statunitense di Taxi Driver e Toro Scatenato nei confronti dei cinecomic Marvel, molti erano i motivi di interesse attorno al lungometraggio più ambizioso mai prodotto da Netflix.
La lavorazione della pellicola è stata a dir poco travagliata perché, dopo essere stata rifiutata da molte case di produzione (tra cui la Paramount), la piattaforma streaming di Los Gatos con un investimento monstre di quasi 160 milioni di dollari (giustificati in parte da un grande lavoro in post-produzione) ha deciso di credere nel progetto concedendo a Scorsese carta bianca. Le grandissime aspettative sono state rispettate: presentato in anteprima nazionale alla 14. Festa del Cinema di Roma (nel nostro paese il film uscirà in cinema selezionati il 4, 5 e 6 novembre, mentre sarà disponibile su Netflix il 27 novembre), The Irishman è il miglior gangster movie del terzo millennio – fino ad ora.
ROBERT DE NIRO INTERPRETA UN VETERANO DI GUERRA CHE SI FA STRADA NEL MONDO DEL CRIMINE
The Irishman è una saga che racconta quarant’anni di storia americana attraverso la vita di Frank Sheeran (Robert De Niro), un veterano della Seconda Guerra Mondiale che diventa il tuttofare del mafioso Russell Bufalino (Joe Pesci). Il film mostra la carriera criminale di Sheeran, dagli inizi fino al forte legame d’amicizia con il leggendario sindacalista americano Jimmy Hoffa (Al Pacino), nonché gli intrighi, le rivalità, i meccanismi interni e le connessioni con la politica dell’organizzazione capeggiata da Bufalino.
THE IRISHMAN RACCONTA MAGISTRALMENTE QUARANT’ANNI DI STORIA AMERICANA
Dopo il flop commerciale di Silence, Scorsese torna a mettere in scena un’epopea gangster con la maestria degna di un grande cineasta. Ispirato al libro di Charles Brandt del 2004, The Irishman condensa in tre ore e mezza (e non in tre film, come fece Coppola nella saga de Il Padrino) il racconto di una vicenda criminale che abbraccia la storia recente degli Stati Uniti, dal secondo dopoguerra fino ad arrivare alla morte di Sheeran. Con l’aiuto dello sceneggiatore Steven Zaillian (Schindler’s List, Gangs Of New York, The Night Of) il regista americano non si limita a tratteggiare il ritratto di un antieroe controverso e affascinante ma evidenzia i legami inconfessabili tra mafia, politica americana e il più potente sindacato americano dell’epoca, la International Brotherhood of Teamster del potentissimo Jimmy Hoffa.
Il lungometraggio Netflix di Scorsese è un vero e proprio kolossal: dal punto di vista tecnico l’enorme budget a disposizione ha permesso all’autore di Casinò di non badare a spese sui costumi e sulla ricostruzione dell’America degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta; inoltre la magnifica regia del filmmaker italo-americano (in grado di fare con la macchina da presa ciò che vuole) regala alla pellicola l’epica necessaria ad un’opera mastodontica come questa. Anche la durata del film, che in linea teorica potrebbe scoraggiare il pubblico, in realtà non pesa minimamente perché, oltre allo straordinario lavoro in fase di montaggio di Thelma Schoonmaker (collaboratrice storica di Scorsese tre volte premio Oscar), The Irishman alterna magistralmente commedia e dramma costringendo lo spettatore a rimanere incollato davanti allo schermo.
UNO STRAORDINARIO CAST RINGIOVANITO DALLA COMPUTER GRAFICA
Una delle questioni più spinose legate a The Irishman era senza ombra di dubbio il lavoro in post-produzione per il ringiovanimento su schermo del cast. Bisogna dirlo: la Industrial Light & Magic, società fondata da George Lucas specializzata in effetti speciali (la lista di film in cui ha offerto i propri servigi è sterminata), è riuscita a compiere un’impresa non semplice. Al primo impatto però il massiccio utilizzo della CGI è visibile anche per uno spettatore poco smaliziato: osservare i volti modificati al computer di attori di cui ricordiamo perfettamente i tratti somatici nella loro giovinezza può provocare una sensazione di straniamento ma, man mano che si prosegue con la visione, l’occhio ci si abitua (anche se non si riesce quasi mai a capire precisamente quanti anni abbiano i personaggi in scena).
Tuttavia le modifiche con il digitale non influenzano assolutamente le straordinarie interpretazioni di Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci (4 premi Oscar in tre), perfetti nei loro ruoli (i protagonisti hanno adoperato metodi differenti per calarsi al meglio nella parte); anche il supporting cast è di grande livello, in cui spiccano Anna Paquin, Jesse Plemons, Harvey Keitel (altro attore feticcio di Scorsese) e il duo di Boardwalk Empire Bobby Cannavale e Stephen Graham.
LA DIATRIBA SCORSESE/MARVEL E IL RUOLO DI NETFLIX NEL CINEMA DEL FUTURO
The Irishman è la sintesi della poetica di uno degli autori viventi più importanti del panorama mondiale ma soprattutto un saggio su pellicola di come realizzare un certo tipo di cinema, in pieno stile Nuova Hollywood, che sta progressivamente scomparendo. Negli anni Settanta l’industria cinematografica americana era riuscita a reinventarsi grazie a pietre miliari che coniugavano autorialità e budget importanti, generando incassi straordinari; oggi il cinema d’autore dà meno garanzie alle tradizionali case di produzione dal punto di vista del ritorno economico (opere come C’Era Una Volta A… Hollywood sono l’eccezione, non più la regola), che preferiscono investire su un prodotto di più facile appeal commerciale (come il cinecomic o i franchise) per sbancare il botteghino.
Da qui possiamo partire per analizzare la polemica Scorsese/Marvel nata nelle scorse settimane: lasciando perdere i punti più controversi della diatriba (che piaccia o no anche i film della Marvel sono cinema a tutti gli effetti, basti pensare ai due Guardiani Della Galassia di James Gunn), è evidente nelle parole di Scorsese, se leggiamo tra le righe, una critica più ampia rivolta al sistema hollywoodiano odierno (anche le dichiarazioni di Francis Ford Coppola, altro simbolo della Nuova Hollywood che ha lavorato pochissimo nell’ultimo decennio, si possono legare a questo discorso). Ed ecco che entrano in gioco i nuovi player del terzo millennio, Amazon e Netflix: per acquisire l’autorevolezza necessaria per essere considerati credibili i due giganti del web hanno adottato negli ultimi anni una strategia aggressiva, quella di finanziare molti progetti di grandi registi (come, ad esempio, Roma di Alfonso Cuarón o gli ultimi lungometraggi di Woody Allen prodotti da Amazon) che, senza quei soldi, non avrebbero mai potuto vedere la luce; la mossa per Netflix, alla lunga, si è rivelata vincente (nel gennaio 2019 la società di Reed Hastings è entrata a far parte della Motion Picture Association Of America, il gotha dell’industria cinematografica).
In un mercato audiovisivo in continua mutazione è sempre un bene che artisti del livello di Martin Scorsese possano continuare ad esprimere la propria idea di cinema, anche grazie all’apporto economico-produttivo dei web service, e The Irishman dimostra che il futuro della Settima Arte è meno cupo e decadente di quanto possa sembrare.