Raramente capita di imbattersi in un film contraddittorio come L’Inganno Perfetto (titolo originale The Good Liar), nuovo lungometraggio di Bill Condon distribuito dal 5 dicembre da Warner Bros dopo la presentazione in anteprima italiana al Torino Film Festival 2019. La pellicola, adattamento dell’omonimo romanzo di Nicholas Searle, riesce infatti a proporre uno stridente mix di interpretazioni clamorose, confezione non certo innovativa ma di gran classe e copione ai limiti del trash.
Senza anticipare nulla che pregiudichi il godimento della pellicola in sala, possiamo dirvi che la storia parte dall’incontro romantico tramite un’app di dating tra due single attempati: il bonario vecchietto Roy Courtnay (il sempre maiuscolo Ian McKellen) e l’elegante vedova Betty McLeish (l’altrettanto inappuntabile Helen Mirren). Dal momento che però non ci troviamo davanti a una commedia romantica ma a un thriller, sarà presto evidente che Roy è molto meno innocuo di quanto non sembri, e che il facoltoso patrimonio di Betty gioca un ruolo importante in un continuo turbinio di svolte narrative al termine del quale a stento si riesce a tenere conto dei fin troppi colpi di scena.
THE GOOD LIAR E QUEL SAPORE CLASSICO ED ELEGANTE DA THRILLER HITCHCOCKIANO
L’Inganno Perfetto sembra nascondere nel titolo non solo il fulcro principale della propria sceneggiatura, ma anche quella che è la natura stessa della sua materia cinematografica: quella cioè di un grande bluff che fa scempio di ottimi contributi tecnici e artistici per mettere in scena materiale che sarebbe indegno anche per una telenovela piemontese. Il nome del cineasta Bill Condon dovrebbe far risuonare qualche campanello d’allarme nello spettatore più consapevole (tra i suoi lavori precedenti ci sono due perdibilissimi capitoli di Twilight, lo scadente Dreamgirls e il nazionalpopolare La Bella e La Bestia), eppure per gran parte della pellicola il regista opta per un classicismo misurato ed elegante, ben sottolineato dalle magnifiche musiche di Carter Burwell (pesantemente reminescenti delle note messe su spartito da Bernard Herrmann per Alfred Hitchcock).
A ben vedere nelle parti migliori del film l’influenza del cinema di Hitchcock è preponderante e porta con sé un certo senso di déjà vu e con esso la pur piacevole familiarità di una formula molto ben rodata. Un’idea di cinema che stupisce per la coraggiosa scelta di non ricercare a tutti i costi una formula ‘giovane’ e che viene riverberata dall’età media decisamente alta (soprattutto per gli standard Hollywoodiani) dei suoi protagonisti. Dal canto loro Ian McKellen e Helen Mirren, nonostante col progredire del minutaggio non siano assistiti in alcun modo dal copione, si producono in una gara di bravura di quelle capaci di entusiasmare anche il più tiepido dei cinefili, con una grazia interpretativa che è una vera e propria lezione di cinema per attori di ogni generazione.
IAN MCKELLEN ED HELEN MIRREN E LA LOTTA CONTRO LO STUPIDO COPIONE DE L’INGANNO PERFETTO
Tanto talento non basta però nel momento in cui la vicenda inizia a prendere svolte sempre più improvvise, improbabili e forzate, con un viepiù ridicolo succedersi di coup de théâtre che ricorda quella vecchia pubblicità della Vigorsol in cui un padre si rivelava una madre e un figlio si rivelava una marionetta. Lo sceneggiatore Jeffrey Hatcher adatta infatti senza alcuna grazia il materiale di origine e finisce per proporre un meccanismo di rivelazioni crescenti nel quale sembra perdersi anche il talento fin lì mostrato da Condon, che opta per una messinscena sempre più meccanica e insignificante, mentre l’eleganza iniziale si disperde in una ruffianeria grossolana e inaspettata. Nonostante qualche spunto interessante qui e lì, il disappunto dello spettatore non può quindi che crescere in modo direttamente proporzionale all’assurdità degli eventi, e così l’incontenibile ammirazione per le performance dei protagonisti lascia posto a una subdola domanda che sarà l’unico ricordo che il pubblico porterà con sé dopo la proiezione: cosa ha convinto McKellen e Mirren a regalare il proprio talento a un film che parte come Hitchcock e finisce come un episodio di Sogni d’Amore? Un ricatto, una minaccia di morte, un trucco mentale Jedi? Difficile saperlo, ma vorremmo rivederli presto (e più spesso) in film meno ruffiani. Nonostante tutto, che bravi, però…