JoJo Rabbit, candidato a ben 6 premi Oscar 2020, è l’ultima creatura di Taika Waititi, uno dei più geniali protagonisti della commedia contemporanea. Le sue pellicole sono tutte riuscitissime, eppure fino ad ora il grande pubblico è entrato in contatto con lui quasi solo attraverso Thor: Ragnarok, brillante e dissacrante cinecomic da lui diretto e scritto.
Nonostante Ragnarok abbia scontentato qualche purista della ‘drammatica’ epica fumettistica, ha anche portato una graditissima ventata di freschezza nella ripetitiva riproposizione dei modelli del MCU e soprattutto – questo ci interessa – un evidente salto in termini di potere contrattuale del regista a Hollywood, tanto da portarlo ora a permettersi un cast di primissimo livello.
Un peccato che Waititi fino ad ora non abbia goduto di più salda fama, considerato che film come Boy e Selvaggi In Fuga sono dei piccoli gioielli e che la clamorosa horror comedy Vita da Vampiro (titolo originale What We Do In The Shadows, da non confondersi con l’omonima serie TV che ha ispirato) è un cult assoluto che chiunque dovrebbe conoscere e vedere; ma di certo gli Academy Awards 2020 lo aiuteranno non poco a imporre il proprio nome al grande pubblico.
JOJO RABBIT: UN ADORABILE BIMBO NAZISTA CHE HA COME AMICO IMMAGINARIO HITLER
Il suo nuovo lavoro, presentato in anteprima al Toronto Film Festival 2019 e poi come pellicola d’apertura del 37. Torino Film Festival, è il libero adattamento del romanzo Il Cielo in Gabbia di Christine Leunens e non solo non delude le attese, ma si presenta come un piccolo cult adorabile, malinconico, intelligente, esilarante e più che mai attuale sulle agghiaccianti implicazioni della propaganda dell’odio.
Siamo in Germania, verso la fine della II Guerra Mondiale. JoJo (il bravissimo esordiente Roman Griffin Davis) è un bambino tedesco dolce e sensibile ma indottrinato dalla propaganda Nazista. JoJo spera di poter presto combattere coraggiosamente contro ‘il nemico ebreo’ per il suo paese e per le persone che ama, ma a causa di un incidente non può nemmeno far parte della gioventù hitleriana.
La premurosa mamma Rosie (Scarlett Johansson) lo supporta con amore e forza di carattere, insistendo con insegnamenti antimilitaristi e supplendo anche all’assenza del padre, ma JoJo ha bisogno di un amico immaginario con cui confrontarsi, ed è così che inizia a confidarsi con un’idealizzazione tutta personale di Hitler (Taika Waititi), quantomai impacciata e amichevole. Quando però JoJo si imbatterà nella presenza ben più reale di una giovane ebrea che cerca di salvarsi dai rastrellamenti nazisti (Thomasin McKenzie), tutte le sue certezze verranno messe alla prova.
JOJO RABBIT: IL CORAGGIO DI DENUNCIARE IL NAZISMO UMANIZZANDOLO
JoJo Rabbit è un film non necessariamente originalissimo ma per molti versi straordinario, che risponde alla sconcertante rinascita dei suprematismi nazionali e dell’intolleranza razziale con una parabola che diventa nel suo piccolo coraggiosissima quando decide di applicare il paradigma della comprensione del diverso non solo sulle vittime ma anche sui carnefici.
Come è ovvio lo spettatore viene portato a empatizzare con i perseguitati e con chi dà loro rifugio ma, a differenza di quanto accade con la maggior parte delle pellicole su quel periodo storico, Waititi riesce a dotare di sorprendente umanità anche quel fronte nazista che depreca: un espediente utilissimo per ricordarci come il male possa annidarsi anche nei luoghi più insospettabili, nonché per dare tridimensionalità all’arco evolutivo dei personaggi e per creare i presupposti per caricature satiriche semplicemente memorabili.
L’infatuazione di un paese per Hitler, nella riuscitissima e provocatoria scena d’apertura, viene paragonata al divismo per i Beatles con un montaggio esilarante e al contempo agghiacciante di scene di folla in adorazione per il Führer sulle note dei Fab Four che cantano una rara versione in tedesco della loro celeberrima I Want to Hold Your Hand (Komm Gib Mir Deine Hand).
Alternando momenti esilaranti ad altri più delicati e drammatici, Waititi non solo si conferma uno sceneggiatore arguto e completo, ma dimostra tutta la crescita registica già intravista negli interessanti movimenti di macchina di Thor: Ragnarok, che qui sono ancora più ricercati e consapevoli. Le sue doti da interprete comico poi, folgoranti sin da quando dava il volto al vampiro Viago, tornano a imporsi come sopraffine, con quella voce delicata che da sola è un marchio di fabbrica e quel talento nel trasformare il corpo in un irresistibile veicolo di ilarità.
TAIKA WAITITI MATTATORE IN UNA GALLERIA DI PERSONAGGI MEMORABILI
Ora più che mai l’autore e attore neozelandese opta per un cinema stilizzato e gentile, e il mix di bonaria ingenuità, amarezza, rigore compositivo, canzoni ‘vintage’, personaggi tanto originali quanto vulnerabili e ambientazioni idealizzate finisce a tratti per ricordare non poco la mano creativa di Wes Anderson.
L’Hitler di Waititi ruba evidentemente la scena, eppure uno dei tanti meriti di JoJo Rabbit è quello di riuscire a trasformare ogni singolo personaggio – anche quelli minori – in una figura a suo modo memorabile, coniugando perfette scelte di casting a un’innata capacità nel creare caratterizzazioni perfettamente incasellate. La carismatica ed eroica mamma della Johansson, l’indimenticabile e ‘favolosa’ coppia nazista composta da Sam Rockwell e Alfie Allen, la motivatissima fraulein di Rebel Wilson, lo spettrale e ripetitivo gerarca di Stephen Merchant, l’impacciato bambino con l’adorabile volto di Archie Yates e non ultima la triste e rabbiosa ‘rifugiata’ di Thomasin McKenzie sono tutte maschere straordinariamente riuscite, tutte colonne portanti di un affresco di grande sensibilità che non potranno che far innamorare lo spettatore.
A contribuire a un’esperienza cinematografica di grande carattere vi sono poi i reparti di scenografia e costumi, con il loro esperto e mai casuale uso del colore danno un carattere immediatamente distinguibile alla pellicola, e soprattutto il commento musicale di un Michael Jacchino qui a uno dei suoi migliori lavori di sempre (un vero peccato non abbia ricevuto una nomination anche lui).
AGLI OSCAR 2020 UNA GERMANIA CHE SEMBRA DISEGNATA DA NORMAN ROCKWELL
In questo strano mix di toni e immaginari, Waititi riesce ad abbassare le difese dello spettatore dipingendo la Germania nazista non con gli occhi storici di chi ne conosca a posteriori gli indicibili orrori, ma con quelli del cittadino tedesco degli anni ’40 indottrinato dal regime, per cui il proprio paese somiglia quasi al realismo romantico delle illustrazioni di Norman Rockwell, che oltreoceano raccontavano l’America sulle copertine del The Saturday Evening Post.
Una Germania idealizzata quindi, che ovviamente si rivela solo una facciata nella quale il dissenso è punito spietatamente e nella quale chiunque voglia opporsi all’inumanità dei rastrellamenti deve farlo di nascosto e a proprio rischio e pericolo.
Inserito nell’ampio filone delle pellicole che ricorrono alla commedia per denunciare la brutalità dell’ideologia nazionalsocialista tedesca, JoJo Rabbit si impone come uno degli esempi più freschi e riusciti dello stesso. Si ride a crepapelle, a tratti, ma come è ovvio non mancano momenti di assoluta amarezza e dolore – la vera anima del film. Un lavoro fortissimamente politico e dal messaggio profondamente significativo che però trova la propria ragion d’essere non nella denuncia esplicita dell’orrore ma in una confortante idea di amore e reciproca accettazione che è il perfetto antidoto a ogni razzismo. In sala dal 16 gennaio su distribuzione The Walt Disney Company.