Nessun film ha messo alla prova la saga di Guerre Stellari come Gli Ultimi Jedi, predecessore di quel Star Wars: The Rise of Skywalker che dal 18 dicembre è nelle sale italiane. Col suo film del 2017 Ryan Johnson, nel tentativo di non essere accusato di ‘plagiare’ la trilogia classica come accaduto al suo precedessore J.J Abrams ne Il Risveglio della Forza, ha infatti osato sfidare le aspettative del fandom con una storia che risultasse finalmente coraggiosa e originale, e nel farlo si è imbattuto in una shitstorm di quelle capaci di scuotere la Lucasfilm dalle fondamenta. The Last Jedi era un ottimo film in senso assoluto (ne abbiamo parlato qui), eppure non era percepito come un ottimo film di Guerre Stellari: la sceneggiatura poteva anche essere incredibilmente significativa in termini di chiavi di lettura profonde, ma la scelta di proporre svolte anticlimatiche che deludessero aspettative di eroismo covate per decenni aveva comunque il sapore di un ‘tradimento’. Ora Abrams, richiamato all’opera da Kathleen Kennedy con lo scopo di ‘giocare sul sicuro’ e di non rischiare di affossare definitivamente il franchise, con L’Ascesa di Skywalker ha avuto il difficile compito di dare continuità organica al film di Johnson, recuperando però il legame emotivo con i fan – che in The Force Awakens aveva dimostrato di capire profondamente – e dando al contempo una chiusura soddisfacente a un arco narrativo che appassiona intere generazioni a partire dal 1977.
CON STAR WARS: THE RISE OF SKYWALKER J.J. ABRAMS ESAGERA INSERENDO NEL FILM DI TUTTO E DI PIÙ
La prima domanda da porsi è se, fermo restando il lavoro fatto con i due film precedenti, questa sia la migliore chiusura della nuova trilogia (e di tutta l’ennalogia) di Guerre Stellari, e la risposta è no. Star Wars: L’Ascesa di Skywalker è un bel film, e regala un grande intrattenimento spettacolare e qualche momento emozionante. Il problema è però che è un racconto ipertrofico, dispersivo, inutilmente confusionario e sostanzialmente innocuo. Un film che non dà l’impressione di essere LA conclusione della saga, ma una delle tante possibili nel momento in cui si punta un po’ al ribasso (d’altronde a firmare lo script insieme ad Abrams c’è Chris Terrio, sceneggiatore di Justice League).
Guardando The Rise of Skywalker infatti si riesce ad avere l’immediata percezione di quanto Gli Ultimi Jedi abbia rotto le uova nel paniere di Abrams che, anziché rinunciare al suo piano iniziale e ripartire da dove era arrivato Ryan Johnson, ha cercato di recuperare a tutti i costi – per quanto possibile – le proprie idee, ritrovandosi a introdurre in episodio 9 molti più elementi e spunti di quanti un film solo ne possa contenere. Il nuovo capitolo della saga infatti è tanto zeppo di nozioni, personaggi e rivoli narrativi da sembrare due o tre film infilati a forza nello spazio di uno solo. E la cosa va a detrimento a tratti dell’emozione e a tratti del buonsenso.
I TEMI DE IL RISVEGLIO DELLA FORZA E GLI ULTIMI JEDI VENGONO QUASI IGNORATI
Per giudicare il nuovo film, bisogna innanzitutto capire se e com J.J. Abrams abbia saputo far tesoro degli spunti emersi nei film precedenti. D’altronde il senso di una saga è proprio nella coesione e risonanza di alcuni precisi temi lungo tutto il suo svolgimento.
Ne Il Risveglio della Forza tutto il film si reggeva sulla questione dell’identità: Rey (Daisy Ridley) aveva bisogno di ritrovarla nel proprio passato per andare avanti e Kylo Ren (Adam Driver) era diviso tra l’ingombrante eredità oscura di Darth Vader e la rabbia verso la propria famiglia. Di questi elementi in Star Wars: L’Ascesa di Skywalker non rimane molto: il tema delle origini di Rey viene in parte affrontato, ma in modo meccanico, forzato e incompleto, tanto che la ragazza stessa sembra sostanzialmente disinteressarsene. I turbamenti incontrollabili dell’animo di Kylo Ren, invece, vengono sostituiti da dei molto più tradizionali dubbi etici, completamente slegati dalla questione del retaggio oscuro (nonostante il recupero di quella maschera da “fanboy di Vader”). Uno dei personaggi più tridimensionali dell’intero franchise finisce quindi per essere brutalmente semplificato e diventa l’ennesimo cattivo che forse potrebbe esser redento.
Per quanto concerne il retaggio di episodio 8, invece, è sorprendente vedere quanto poco rimanga di tutti gli spunti imbastiti da Johnson. Se The Last Jedi invitava a non vivere nell’ombra del passato e a ragionare oltre la dicotomia tra buoni e cattivi, ora con un grande ‘passo indietro’ si abbandona in parte il focus sulla nuova generazione e si semplifica la visione della Forza abbandonando ogni zona grigia e tornando come nulla fosse alla dualità Jedi-Sith.
Se infine pensiamo in grande e ragioniamo sulle questioni principali che hanno attraversato tutti e nove i film, il tema della famiglia rimane, ma di tutta la questione della profezia su colui che porterà equilibrio nella forza non resta nulla. Non importa che l’eletto fosse Anakin o Luke: non è più una questione di alcun rilievo e viene pertanto da chiedersi perché la nuova trilogia dovrebbe esser considerata come compimento della saga degli Skywalker. C’è di nuovo in qualche modo l’Imperatore Palpatine (Ian McDiarmid), la cui presenza è stata sbandierata in tutti i trailer, ma non basta a dare coesione e completamento alle vicende di Anakin e Luke, che continuano a sembrare ‘separate’ rispetto alla nuova trilogia. Per la cronaca: Luke (anche lui presente nel materiale promozionale del film) per qualche misterioso motivo ha un parruccone tamarrissimo.
UNA TRAMA COSTRUITA SU TANTE SCELTE SENZA SPIEGAZIONE E UN PO’ TROPPO FAN SERVICE
Proprio il fatto di inserire dal nulla un nuovo villain nell’ultimo film della terna ‘made in Disney’ penalizza molto il risultato. A ben vedere infatti le trame delle precedenti trilogie erano relativamente semplici: c’era una dinamica tra eroi e antagonisti che si sviluppava lentamente nell’arco di tre capitoli. Qui invece si arriva all’episodio finale senza sapere ancora chi è buono e chi no, dovendo giustificare l’inserimento di un altro antagonista principale, aggiungendo al contempo una superflua abbondanza di nozioni che richiedono continui spiegoni (pur lasciando irrisolte questioni fondamentali), dedicando un irragionevole minutaggio a una quest che poi si rivela totalmente inutile ai fini della storia, asserendo che Luke e Leia fossero a conoscenza di alcune informazioni nonostante questo sia in palese contraddizione con quanto già accaduto, inserendo per puro fan service personaggi e momenti che non arricchiscono in nessun modo la storia, cambiando in corsa le motivazioni di Luke Skywalker, e infine mostrando che c’erano intere flotte di buoni e cattivi che non si sa cosa stessero aspettando a uscire fuori.
NEL NUOVO GUERRE STELLARI IL ‘GRANDE PIANO’ DELL’IMPERATORE PALPATINE NON HA SENSO
Davanti a un film popolare di fantascienza, avventura e azione nessuno pretende di fare le pulci alla sceneggiatura per trovare chissà quale coerenza o motivazioni, tanto che lo stesso Abrams ne è consapevole e più volte giustifica forzature improbabili con la ‘volontà della Forza’, quasi fosse una Provvidenza di manzoniana memoria. Però nel nuovo capitolo di Star Wars sono troppe le scelte rette da motivazioni debolissime, e proprio la presenza di Palpatine, che è reso magnificamente da un punto di vista iconografico, entusiasmerà i fan ma rappresenta anche un problema.
È lapalissiano che inserire in qualche forma Palpatine significhi farne il deus ex machina che ha mosso i fili per tutta la saga, e che quindi ha condizionato i destini anche dei nuovi protagonisti. Quando lo sentirete proferire le sue intenzioni (che non riveliamo), vi basterà però pensarci 5 minuti per rendervi conto di quanto siano insensate. Il piano dell’Imperatore fa acqua da tutte le parti, e pare difficile credere che il cattivo per antonomasia non abbia saputo pensare a niente di meglio.
EPPURE IN QUALCHE MODO STAR WARS: L’ASCESA DI SKYWALKER INCOLLA ALLO SCHERMO E REGALA MOMENTI STRAORDINARI
Come avrete capito, ragionando a mente lucida, gli elementi che non convincono di Star Wars: The Rise of Skywalker sono tanti, e anche la principale ‘battaglia di spade laser’ verrà ricordata più per l’ambientazione che per la reale spettacolarità del duello. Deludenti pure le musiche della leggenda vivente John Williams, che neanche ci prova a fare un nuovo tema vagamente memorabile ma risolve tutto con commenti ai limite della temp music e riciclo dei vecchi cavalli di battaglia.
Eppure L’Ascesa di Skywalker intrattiene magnificamente e riesce ad essere comunque appassionante ed epico. Soprattutto quando il gran fracasso serratissimo lascia spazio ai pochissimi momenti quieti, il film dà il suo meglio: la scena che conclude il duello tra i flutti è emozione pura ed è forse la più bella di tutto il film; l’abbondante presenza in scena di Carrie Fisher fa venire i brividi (in senso positivo) e quel sorriso di Adam Driver nella scena più drammatica del film è uno dei momenti più potenti di tutta la saga.
Se infatti si accetta di non farsi troppe domande, il nuovo film di Star Wars sa regalare quasi due ore e mezza di ottimo intrattenimento, che non saprà galvanizzare come in passato ma che fa uscire dalla sala confusi e (forse) soddisfatti. Il sogno di un gruppo di eroi che, guidato da una forza superiore, parte per un’avventura spaziale è ancora vivo, e al bambino che è dentro di noi non serve sostanzialmente altro. Il cinefilo adulto ambirebbe a qualcosa di più.