L’inossidabile Clint Eastwood, anche alla soglia dei novant’anni (li compirà il prossimo 31 maggio), non smentisce la sua fama di stakanovista della Settima Arte: dal 2014 ad oggi il regista di Mystic River e Million Dollar Baby ha diretto ben sei lungometraggi, tutti di ottimo livello (se escludiamo il mediocre Ore 15:17 – Attacco Al Treno). Dopo aver messo in scena nel 2018 la storia di un personaggio sfaccettato e controverso nel riuscito Il Corriere – The Mule (in cui offre un’interpretazione magistrale come protagonista), Eastwood torna al biopic con l’atteso Richard Jewell: oggetto di polemiche negli States, oltre che di curiosi retroscena (che alimentano ancora di più la leggenda del cineasta americano), la pellicola uscirà nelle sale italiane il 16 gennaio su distribuzione Warner Bros.
RICHARD JEWELL: IL CALVARIO DI UN EROE PER CASO VITTIMA DI PERSECUZIONE
Il film racconta la storia vera di Richard Jewell (Paul Walter Hauser), una guardia di sicurezza che il 27 luglio del 1996, durante le Olimpiadi di Atlanta, riesce a salvare numerose vite trovando un ordigno al Centennial Park (il bilancio dell’attentato fu di una vittima, Alice Hawthorne, e 111 feriti, mentre il cameraman Melih Uzunyol morì d’infarto accorrendo sul posto). Tuttavia, nel giro di pochi giorni, da eroe nazionale Jewell diventa il sospettato numero uno dell’FBI e il bersaglio perfetto della stampa, rendendo la sua vita una via crucis.
EASTWOOD PUNTA IL DITO CONTRO L’OPERATO DI FBI E MEDIA NELLA VICENDA JEWELL
Clint Eastwood è un autore che, nel corso della sua carriera, ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti dell’americano medio, espressione dei valori e della mentalità di un paese, nel bene e nel male, dalle mille contraddizioni. In Richard Jewell il regista premio Oscar dà spazio alla figura di un uomo comune che, per puro caso, è balzato agli onori della cronaca per un atto di straordinario eroismo; la sceneggiatura, curata dall’esperto Billy Ray (State Of Play, Hunger Games, Captain Phillips – Attacco In Mare Aperto), delinea con efficacia un personaggio che, pur nel suo essere naïf, rappresenta nella visione eastwoodiana il lato più sano degli Stati Uniti.
Ispirato all’articolo della giornalista di Vanity Fair Marie Brenner e al libro Il Caso Richard Jewell di Kent Alexander e Kevin Salwen, la pellicola attacca duramente non solo l’FBI, responsabile secondo il pluripremiato cineasta di aver voluto incastrare di proposito Jewell (“Ho paura del governo più di quanto ho paura del terrorismo”, questo è l’emblematico slogan che appare in più riprese nell’ufficio di uno dei personaggi principali del film), ma anche la stampa per il ruolo svolto in questa vicenda. I media infatti, attraverso una narrazione distorta di inaudito cinismo, hanno rovinato la vita del diligente addetto alla sicurezza, facendo leva sulla sua stravaganza e sul suo aspetto fisico per darlo in pasto al proprio pubblico (senza pensare alle nefaste conseguenze).
UN BIOPIC DAL TAGLIO CLASSICO NOBILITATO DA UN REGISTA SONTUOSO E DA UN CAST DI FUORICLASSE
Richard Jewell, come prodotto in sé, è un’opera molto lontana dall’essere sperimentale ed innovativa (si tratta di un biopic dal taglio classico); ciononostante, la regia di Eastwood è da manuale perché, sia nelle scene d’azione che nei frangenti più rilevanti dal punto di vista drammaturgico, la macchina da presa è sempre al servizio della storia che sta raccontando; inoltre, grazie al montaggio di Joel Cox (storico collaboratore dell’autore californiano), il lungometraggio non ha mai tempi morti, riuscendo a coinvolgere dall’inizio alla fine.
Merito dell’ottima riuscita del film però va anche al prestigioso cast coinvolto nel progetto: la scelta di Paul Walter Hauser (diventato famoso grazie al surreale personaggio di Shawn Eckhardt in Tonya di Craig Gillespie) nel ruolo di Richard Jewell è assolutamente perfetta e, oltre alla convincente prova da villain di Jon Hamm (nei panni del subdolo agente dell’FBI Tom Shaw), a rubare la scena sono indubbiamente Sam Rockwell (che impersona l’avvocato di Jewell, Watson Bryant) e Kathy Bates (la sua performance le è valsa la nomination come Miglior Attrice Non Protagonista agli Oscar di quest’anno). La caratterizzazione della figura della giornalista Kathy Scruggs, interpretata dalla bravissima Olivia Wilde, è stata invece oggetto di aspre critiche (lanciate principalmente dall’editor-in-chief del giornale in cui lavorava la Scruggs, l’Atlanta Journal-Constitution); la stessa attrice ha però risposto difendendo strenuamente la pellicola, parlando di “doppio standard” riguardo al sessismo.
L’ultima fatica di Eastwood, che vede come produttori anche Leonardo DiCaprio e Jonah Hill, è la dimostrazione di come una straordinaria icona del grande schermo, nonostante la sua veneranda età, possa ancora dare un notevole contributo al cinema mondiale; Richard Jewell, con la sua forza narrativa e visiva, è un lungometraggio capace di sensibilizzare il pubblico più eterogeneo su tematiche sensibili (come l’abuso di potere delle forze dell’ordine e lo storytelling nella comunicazione) che riguardano da vicino la società occidentale odierna.