1917, il nuovo film di Sam Mendes ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, è stato da subito un candidato fortissimo agli Oscar 2020, nonostante la concorrenza agguerrita di un’annata cinematografica fortunatissima. D’altronde gli Academy hanno sempre amato i war movie d’autore e i titoli basati su un concept semplice e forte. Se quindi parliamo di un film di guerra girato interamente in piano sequenza nel quale dietro la macchina da presa c’è il regista premio Oscar per American Beauty affiancato dal direttore della fotografia premio Oscar per Blade Runner 2049 (leggete qui per capire che incredibile genio sia), le 10 nomination sono più che comprensibili.
Il problema però è che oltre a una furba confezione pensata con l’ambizione di piacere ai votanti dell’AMPAS, la pellicola ha poco altro da offrire. 1917 infatti è un’operazione ruffiana pensata per strizzare l’occhio alla spettacolarità e al virtuosismo formale, pur rimanendo poco ispirata e tutt’altro che appassionante. Un succedersi meccanico e forzato di idee spettacolari o ad effetto che non avrebbero sfigurato nei due precedenti film di James Bond diretti da Mendes; un film che non ha niente da dire, ma lo dice benissimo.
SAM MENDES CONFEZIONA UN PASTICHE DI VIRTUOSISMO SENZ’ANIMA
Nonostante l’incredibile buzz generato dal progetto e il fiorire di sperticate lodi che si affastellano su ogni fronte, vedendo 1917 non può che risultare da subito evidente la grande dualità che caratterizza l’opera, costantemente divisa tra l’ostentazione di un esercizio di stile a volte mozzafiato e una povertà di contenuti e intenti ben oltre il deludente. Non che un’epopea bellica debba necessariamente proporre chissà quale sceneggiatura: Christopher Nolan ha chiaramente dimostrato con il suo meraviglioso Dunkirk (con cui 1917 condivide il montatore) che è possibile raccontare l’adrenalina e l’istinto di sopravvivenza anche ignorando l’approfondimento dei personaggi (qui la spiegazione).
Il regista di Skyfall e Spectre però si muove su un terreno profondamente diverso. Mendes infatti fa prevalere la forma sulla sostanza e ci regala un’esperienza visiva abbastanza ambiziosa da ricavarsi comunque un suo spazio nella storia del linguaggio del war movie, abbinata però a a uno svolgimento innaturale e stucchevolmente ruffiano, nonché a dei personaggi di rara inconsistenza e piattezza. Una dicotomia tra confezione e contenuto che ci porta direttamente a chiederci che tipo di spettatori siamo, e quanto siamo disposti a farci conquistare da un’operazione nata dall’assenza di idee di Mendes – ci torneremo dopo – e senza anima.
QUAL È LA TRAMA DI 1917?
Siamo nell’aprile 1917 sul fronte occidentale. Nel nord della Francia le truppe tedesche stanno arretrando, ma si tratta di una ritirata strategica: una trappola per indurre i battaglioni britannici ad esporsi per poi annientarli. Dalle retrovie il Generale Erinmore (Colin Firth) consegna a giovanissimi caporali Schofield (George MacKay, visto in Captain Fantastic) e Blake (Dean-Charles Chapman, il Tommen Baratheon de Il Trono di Spade) una lettera nella quale ordina di fermare l’offensiva per salvare 1600 i soldati che si stanno preparando all’attacco campale. I due ragazzi dovranno armarsi di coraggio e affrontare da soli la pericolosa desolazione della “terra di nessuno”, viaggiando allo scoperto fino alla cittadina di Ecoust per consegnare la missiva al Colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch), che è appostato nei boschi di Croisilles con il battaglione 2° Devon, nel quale milita anche il fratello di Blake (Richard Madden).
LA FOTOGRAFIA DI ROGER DEAKINS E QUELLA SCELTA DEL PIANO SEQUENZA
La campagna promozionale di 1917 sfrutta ‘disonestamente’ la fama degli attori più noti (Firth, Cumberbatch e Madden appaiono per una manciata di secondi sullo schermo) e prova a fare del fattore tempo il fulcro del film (buona fortuna, dopo Dunkirk). La vera caratteristica dell’opera, quella di cui tutti parlano anche perché è l’unica sulla quale ci sia qualcosa da dire, è però il fatto che sia girata quasi in un unico piano sequenza.
Il piano sequenza è una soluzione di ripresa nella quale si affida a un’unica lunghissima inquadratura senza stacchi di montaggio il racconto (perlopiù) in tempo reale di una o più scene. Un’alterazione della convenzionale grammatica cinematografica che ha regalato grandissimi momenti alla Settima Arte; generalmente relegata a una porzione relativamente piccola di film ma molte volte usata con successo per un intero lungometraggio (si pensi a Nodo alla Gola di Hitchcock o a Arca Russa di Sokurov, per citare giusto un paio d’esempi).
Data la peculiarità dell’approccio scelto, a farsi carico di buona parte del lavoro – anche di quello che normalmente competerebbe più direttamente al regista – è Roger Deakins, probabilmente il più grande e al contempo sottovalutato direttore della fotografia vivente (14 candidature agli Oscar e una sola statuetta vinta), famoso per le sue collaborazioni con i Coen e Villeneuve e già al fianco di Mendes in 007 Skyfall.
Fautore del digitale quando ancora i suoi colleghi si arroccavano in un passatismo romantico ma anti-progressista, Deakins ricorre a tutta la flessibilità della portabilissima macchina da presa Arri Alexa Mini (già usata negli spazi ristretti per Blade Runner 2049, ma qui nella nuovissima variante LF) per muoversi sinuosamente senza soluzione di continuità, almeno fino al primo e unico stacco vero e proprio del film, che arriva a 66 minuti dall’inizio.
1917: UN ‘VIDEOGIOCO’ CHE RENDE TANGIBILE LO SPAZIO FISICO MA FINISCE PER STRAFARE
È ovvio l’impatto che ha questa scelta creativa di Mendes sul tempo della forma filmica: è infatti affascinante la scelta di raccontare la guerra come un eterno presente senza prospettive passate e future, e fatta eccezione per un salto di poche ore cui corrisponde il suddetto stacco, 1917 mette in scena ‘in tempo reale’ una vera e propria monade narrativa, la più breve parentesi di guerra che sia possibile rappresentare in real time nei 119 minuti di durata del metraggio.
Se il rapporto tra tecnica di ripresa e tempo è interessante ma non certo rivoluzionario (anche qui impossibile non pensare alla dilatazione e contrazione del tempo operata nel 2017 da Nolan), a rivelarsi ben più lodevole è l’opportunità offerta dal piano sequenza in termini di esplorazione dello spazio. Soprattutto nella prima parte del film, prima che il virtuosismo finisca per affliggere anche le scenografie, Mendes e Deakins creano una mappa mai così viva del campo di battaglia. L’esplorazione ondeggiante e dettagliata della terra brulla e dei corpi esanimi sussunti nel suo fango e appena distinguibili, la quinta quasi metafisica costituita dagli edifici in rovina, l’alternarsi di arida polvere e rami grondanti fiori, animali morti e trincee abbandonate, metallo divelto e rifugi inaspettati costituisce un ambiente incredibilmente immersivo che trascina lo spettatore nel pieno della Prima Guerra Mondiale.
Il problema è che la volontà di strafare e di mostrare a ogni scena qualcosa di nuovo e diverso finisce per portare a un’esperienza più videoludica che cinematografica, nella quale nonostante la brevità del tempo narrativo si succedono meccanicamente panorami che cambiano radicalmente nello spazio di un passo o due, caratterizzati da una stilizzazione estrema e spesso forzata. Come si passasse al livello successivo di un videogioco, per l’appunto.
COME È STATA GIRATA QUELL’INCREDIBILE SCENA CON I RAZZI DI SEGNALAZIONE?
Roger Deakins è noto per essere uno che pensa fuori dagli schemi e trova soluzioni inusuali destinate a fare scuola (si pensi all’anello di luce pulsante con cui illumina la ‘resurrezione’ di Rachel in Blade Runner 2049). Anche in un film come 1917, quindi, non poteva far mancare il proprio contributo geniale, che come al solito si manifesta non solo nella composizione scenica o nella scelta delle lenti, ma anche e soprattutto nell’uso della luce.
Se per tutta la durata del film sfrutta ogni possibilità offerta dal digitale nel gestire le difficili condizioni di illuminazione, supera senza dubbio se stesso quando le luci artificiali prendono il posto del sole e la storia raggiunge le rovine di Ecoust. Nel pieno della notte, utilizzando un rig grande come un palazzo per simulare una chiesa in fiamme e dei razzi di segnalazione pilotati da remoto lungo binari sospesi da 6 crane per proiettare lunghissime ombre in rapido movimento, crea una parentesi quasi onirica che è uno dei momenti visivamente più entusiasmanti mai visti nella storia del cinema di guerra. Una stilizzazione potentissima, di suo straordinaria, che però nell’insieme di un film insincero e vagamente patinato finisce quasi per risultare stucchevole.
PIÙ CHE UN PIANO SEQUENZA, UN PATCHWORK INGANNEVOLE TENUTO INSIEME DALLA CGI
Pur nella sua imponenza, la suddetta scena ben riassume lo spirito di 1917, e cioè quello di un lavoro che vorrebbe essere intimo ma che nel suo essere manifestamente artefatto perde ogni contatto con lo spettatore. Il risultato finale è ciò che conta, certo, e poco importa se la storia dell’unico piano sequenza è una grande bugia: da sempre chi voglia sfruttare in modo estensivo questa tecnica ‘incolla’ spezzoni più brevi nascondendo i tagli di montaggio, e lo stesso è stato per Mendes.
Dietro la bella favoletta dell’unica inquadratura ininterrotta si nasconde infatti una moltitudine di tagli e location (tanto che Deakins è vincolato contrattualmente a non rivelarne il numero preciso). Si pensi che la singola scena dell’attraversamento del ponte di Ecoust è stata in realtà girata in 3 diversi set, distanti tra loro in tutto 1300km: l’arrivo in camion è stato ripreso a Wiltshire nell’Inghilterra sud-occidentale, l’attraversamento del canale in Scozia, e il confronto col cecchino in uno studio fuori Londra.
È la magia del Cinema, ovvio. I vfx aprono possibilità illimitate ai cineasti di oggi, eppure il fatto che si possa fare un film di guerra fingendo un unico piano sequenza di due ore non vuol dire che sia una buona idea farlo. La natura fortemente frammentaria del film traspare dal suddetto insensato succedersi di location nettamente distinte e incoerenti e anche dal chiaro impatto che ha avuto sulla performance non memorabile dei protagonisti principali. Più in generale, una moltitudine di piccole e ciclopiche forzature e contraddizioni fa sì che una certa subdola sensazione di meccanicità e finzione arrivi completamente allo spettatore più smaliziato, probabilmente in misura maggiore a quanto non accadrebbe con un montaggio tradizionale. La pessima colonna sonora del pluripremiato Thomas Newman, che passa dalle percussioni da heist movie ai synth alla 007 per poi ripiegare su melense temp music, al massimo valorizza qualche momento di tensione ma non aiuta in alcun modo a creare un legame empatico con la vicenda narrata. Eccellente solo l’ammaliante arpeggio d’archi nella scena dei flare.
LA SPIEGAZIONE DEI PROBLEMI DELLA SCENEGGIATURA DI SAM MENDES
Il fatto che fino ad ora sia venuto naturale parlare tanto della fotografia del film e così poco della storia la dice lunga su quanto questa sia debole. 1917 nasce da un periodo di confusione e incertezza di Sam Mendes. Dopo la modesta accoglienza riservata al suo 007 Spectre, il regista ha iniziato ad avere un blocco creativo e a dedicarsi quasi esclusivamente al lavoro di produttore per la serialità televisiva (The Hollow Crown, Penny Dreadful, Informer e il pilota di Britannia). Dopo anni di incertezza passati a rifiutare ogni copione gli venisse proposto, ha ricevuto da più parti il consiglio di scriversi un film da solo, ed è così che ha deciso di ‘improvvisarsi’ sceneggiatore con l’aiuto di Krysty Wilson-Cairns, autrice che, dopo la classica palestra con qualche corto, aveva come unica esperienza quella di staff writer di Penny Dreadful.
I due ricorrono chiaramente al più comodo degli espedienti: attingere a piene mani al modello del viaggio dell’eroe, ma nel farlo decidono bellamente di ignorarne gli elementi più importanti per concentrarsi sugli unici adatti al concept che avevano in mente. Il risultato è che sì troviamo il ‘richiamo’, il ‘rifiuto’, la ‘soglia’ e le ‘prove’, ma mancano tutti quei passaggi fondamentali per dare profondità ai personaggi e per creare un legame emotivo tra di loro e tra loro e il pubblico. Non sappiamo infatti praticamente nulla del background del protagonista (che risulta anche discretamente antipatico), non ha alcuna vera evoluzione dell’arco narrativo e più in generale è del tutto assente l’elemento del ‘mondo ordinario’, indispensabile nell’apertura e nella chiusura del suddetto paradigma narrativo. Il nostro uomo potrebbe essere chiunque, è semplicemente un ragazzo che dal primo all’ultimo minuto del film esegue ordini in una condizione di pericolo ma con un determinato senso del dovere e cercando di non provare emozioni. La noia totale.
1917: COINCIDENZE IMPROBABILI E CARATTERIZZAZIONI TAGLIATE CON L’ACCETTA
In questo piattume desolante, Mendes e la Wilson-Cairns provano comunque a inserire dei momenti più forti che scandiscano il succedersi delle due ore, ma sconcerta quanto siano grossolane le scelte cui si affidano: il momento dell’aereo tedesco e quello dell’incontro con la ragazza francese sono tanto forzati da far cadere ogni patto di sospensione dell’incredulità, mentre il canto con auto-tune in una radura idealizzata che sembra un bosco elfico è semplicemente fintissimo.
Se a ciò aggiungiamo che gli Inglesi sono sempre ritratti come l’eroica incarnazione dei valori più nobili e i Tedeschi sono tutti degli infimi bastardi capaci solo di bassezze, vien da sé quanto l’inesperienza e la pigrizia abbiano influito sul copione finale. Figuriamoci se fosse stato un film sulla Seconda Guerra Mondiale.
In conclusione 1917 è un titolo che sicuramente ha dei suoi indiscutibili punti di forza, ma che non lascia niente né sarà ricordato a partire dall’anno prossimo; la classica ‘americanata’ studiata per gli Oscar ma che illude lo spettatore più generalista con i vetrini colorati di una forma cui non corrisponde una sostanza. Rimane il conseguimento tecnico del piano sequenza, certo. All’Academy ha portato molta fortuna a Cuarón e Iñárritu, ma Mendes non può neanche lontanamente ambire ad essere paragonato ai registi di Gravity e Birdman, checché ne dicano al Dolby Theatre. L’uscita in Italia di 1917 è il 23 gennaio. A seguire il trailer italiano di 1917.