Klaus, gioiello cinematografico che è anche il primo film d’animazione originale Netflix, si è guadagnato la candidatura a miglior lungometraggio animato agli Oscar 2020, dove concorre tra gli altri contro Dov’è il mio corpo? – di cui Netflix ha i diritti di distribuzione internazionale. Scritto e diretto da Sergio Pablos, già creatore per la Universal della saga di Cattivissimo Me, Klaus rilegge il mito di Babbo Natale provando a immaginare la vita di Santa Klaus prima che diventasse la magica figura che tutti conosciamo.
Klaus, il primo lungometraggio animato originale Netflix, è già un classico film di Natale
Sopra ogni cosa è giusto dire che un buon film non necessita in realtà di nessuna particolare motivazione perché susciti la voglia di essere messo in play. E Klaus è proprio questo, un bellissimo racconto che presenta tutte le carte in regola per potersi ergere, di già, a classico di Natale per le generazioni venture. Sarà quel sapore intramontabile che l’animazione di stampo tradizionale richiama da sempre nell’animo dello spettatore-fanciullo, o magari quei colori pastello frutto di una semplicità cromatica che non rinuncia ad una ricercatezza visiva per i dettagli. Oppure, ancora, per la non-sofisticatezza narrativa, intenzionata a non cedere il passo alla complessità ma altrettanto consapevole di abbracciare temi universali anche lì, nel profondo nord artico dell’isola di Smeerensburg.
Infatti è qui che il protagonista Jesper viene spedito (è proprio il caso di utilizzare questo termine, d’altronde lo stesso Klaus nelle prime battute ammette di essere “una storia sulle lettere”), viziato e svogliato figlio di un ricco magnate a capo del Regio Servizio Postale. Il percorso formativo del ragazzo è quello dei più classici e genuini, declinato nella parabola dell’eroe che conosce, impara, cresce, cade e si riscatta. Egli è però il veicolo del racconto, il pezzo di carta affrancato sul quale viaggia, o che fa viaggiare, il mito senza tempo che scalda i cuori con così tanti desideri fanciulleschi.
Sergio Pablos crea la storia di origini di Babbo Natale
La bellezza del lavoro di Pablos è senza dubbio nella singolare ed emozionante rivisitazione della leggenda (ma per chi ci crede ancora, semplicemente storia) di – Santa – Klaus, qui burbero e statuario boscaiolo che ha la sua dimora nei margini più remoti di quel pezzo di roccia ai confini del mondo noto. Il cuore pulsante del film è decentrato rispetto l’apparente focus su Jesper, avendo il considerevole pregio di non negare il racconto classico ma anticipandolo, rendendolo mortale e per questa ragione pronto a schiudersi nel mito al termine del ciclo.
Klaus è innanzitutto la favola di un’umanità che fa grandi sogni e si nutre di immortali speranze, ma che a volte finisce anche per infrangersi come un’onda sull’insormontabile scoglio di una vita imprevedibile e che raramente prende la piega sperata.
Klaus è un cartone animato di Natale dove la magia è nelle azioni degli uomini
Più che elevarsi nel magico (che nonostante tutto tramite fruscii di vento pervade il film in modo delizioso), Klaus rimane terreno, andando anche a scavare con un’ironia graffiante ed a tratti spietata nella bassezza dell’ignoranza umana, cataratta che rende ciechi animo e buonsenso. Sporca gli stivali nella fanghiglia dei sentimenti di rancore e odio vissuti come retaggi culturali, tradizioni acquisite da onorare stupidamente (e lo fa capire) ad ogni costo. Dove gli adulti spesso difettano e si abbandonano al grigio, è però nell’animo candido dell’infanzia che risiede la risposta più trasversale possibile, non solamente sopra le aberrazioni dei costrutti del mondo dei “grandi”, ma soprattutto attraverso esse.
Klaus ha le premesse per diventare uno di quei racconti senza tempo da vedere e rivedere in famiglia durante le feste natalizie e, magari, davanti ad un accogliente focolare. Perché no, forse anche fuori stagione, d’altronde certe storie non conoscono di confini.