Accantonando per un istante i complessi e spesso sadomasochistici meccanismi dietro la volontà di proporre a soli 18 anni di distanza dall’originale giapponese un secondo reboot di un moderno classico horror come The Grudge – perché la giustificazione economica non sempre basta – vogliamo partire subito dal peccato capitale della nuova versione in arrivo nei cinema: la noia.
Per un film dell’orrore non c’è colpa maggiore dell’adagiarsi placidamente già dopo un primo quarto d’ora che da solo basterebbe a preannunciare il fallimento che seguirà, senza nemmeno provare a giocare con la tensione e dare uno ‘strattone’ allo spettatore di tanto in tanto. La pellicola distribuita in Italia da Warner Bros però non tenta neanche di ricorrere con mestiere ai più elementari espedienti del genere: quei jumpscare propri di un modello orrorifico spesso scolastico ma perlomeno emotivamente e ritmicamente utili. Paradossalmente in The Grudge persino questa tecnica si rivela inefficace e mal gestita, pur quando a conti fatti potrebbe rappresentare l’unica speranza di dare dinamismo a una macchina filmica di rara staticità e incompletezza.
The Grudge è il reboot di un remake del nipponico Ju-on
The Grudge, che dura poco più di 90 soporiferi minuti e vede nel ruolo di regista e sceneggiatore Nicolas Pesce (già dietro la macchina da presa per l’interessante Piercing), sembra non essere un vero e proprio reboot ed è concepito piuttosto come una sorta di sequel-parallelo al film di Takashi Shimizu uscito nel 2004, primo di una fortunata trilogia premiata con incassi di centinaia di milioni di dollari nonché remake statunitense del terzo capito della saga nipponica a basso budget Ju-on, sempre firmata dallo stesso Shimizu.
Questa confusa combinazione di originali, remake e reboot restituisce la complessità di un decennio di iterazioni a cavallo tra due nazioni ma sotto l’egida dello stesso direttore creativo. Un percorso tortuoso e non sempre felice, dal quale prende le mosse già nel 2011 la farraginosa nuova produzione di questo ennesimo capitolo, che ha tra i molti finanziatori anche Sam Raimi ma che non vede coinvolto il creatore originale Shimizu.
Un horror noioso e senza idee su cosa mettere in scena
The Grudge, a fronte di un budget di 10 milioni di dollari, ha per ora incassato a livello mondiale una cifra attorno ai 46 milioni: un box office decisamente modesto che, una volta decurtato dei costi promozionali e delle percentuali degli esercenti, non garantisce necessariamente un prosieguo al franchise e rispecchia un’operazione creativa fallimentare quasi sotto ogni aspetto.
Durante la visione monta infatti in modo inesorabile un senso di pesantezza e frustrazione dettato dalla consapevolezza di star assistendo ad un film che non ha alcuna capacità di proporre il benché minimo guizzo. Il modo in cui The Grudge cerca di brillare esclusivamente della luce riflessa dell’importante tradizione che porta sulle spalle ha del meschino, e lo script vuoto e senza evoluzione, costruzione della minaccia o elaborazione psicologica non riesce in alcun modo a dare senso a quel rancore che porta nel nome e che, in teoria, dovrebbe porsi alla radice del racconto.
Come accadeva anche nei capitoli passati, la narrazione è sviluppata su un alternarsi di piani temporali, ma tale scelta riesce solo a rendere ulteriormente dispersiva una storia già incapace di agganciare l’interesse dello spettatore, mentre il montaggio pur firmato da editor esperti come Ken Blackwell (The Nun) e Gardner Gould (Man In The Dark) risulta aberrante, con sequenze in ordine apparentemente casuale e continui e grossolani errori di continuità. Dal canto suo la fotografia del solido Zack Geller (The Act, Manhunt: Unabomber) è a dir poco stanca e svogliata, e un color grading troppo spinto non fa che penalizzarla ulteriormente. Pesce tramite la regia ogni tanto prova anche a donare qualche tocco che possa innalzare le sorti generali, salvo poi tornare ad annaspare in una pochezza di contenuti dalla quale non c’è scampo alcuno, e a cui non pongono rimedio nemmeno interpreti solitamente di comprovato talento come Andrea Riseborough (Nancy, Zero Zero Zero, Morto Stalin Se Ne Fa Un Altro), John Cho (Searching), Demian Bichir (The Hateful Eight) e Betty Gilpin (Glow, American Gods).
The Grudge non sfiora nemmeno in parte l’originale di cui porta il nome, pensando di poter vivere proprio in virtù di quel nome dimenticandosi di essere un film pessimo e vuoto da cima a fondo. In sala dal 5 febbraio.