Onward – Oltre la magia arriva nelle sale dopo che la vittoria di Toy Story 4 come Miglior Film d’Animazione agli Oscar 2020 ha confermato l’ottimo stato di salute produttiva, e di apprezzamento, di cui gode la Pixar. Se però lo stesso Toy Story 4, pur essendo il capitolo forse più debole e divisivo della saga, si posizionava come una valida conclusione (magari non indispensabile) del ventennale percorso dei giocattoli animati capitanati dal cowboy Woody, della stessa complessiva riuscita non si può dire pienamente dell’Onward di Dan Scanlon.
Sia chiaro, il film avvolge in pieno quell’aura propria delle produzioni Pixar che navigano sugli orizzonti di magia attraverso un percorso di formazione dei propri protagonisti, ma la sensazione è che Scanlon (regista di Monster University e collaboratore di vecchia data dello studio) non riesca mai a portare il racconto su di un gradino superiore. La sensazione ancora più ingombrante è che in realtà Onward si configuri come un traghettatore, come un esteso cortometraggio Pixar atto a introdurre l’arrivo tra qualche mese di quel Soul del ben più navigato Pete Docter (come regista Monsters, Inc, Up, Inside Out).
In Onward la storia di un ricongiungimento apparentemente impossibile
Le premesse del film rimangono comunque estremamente interessanti: in un mondo fantasy pienamente urbanizzato dove la magia ha lasciato da tempo il posto alla tecnologia, al compimento del sedicesimo compleanno dell’elfo Ian la madre consegna a lui ed al fratello, Barley, un bastone magico lasciato in eredità dal padre deceduto da tempo. Accompagnata all’oggetto una formula di incantamento in grado, attraverso il recupero di determinati ingredienti, di riportare in vita solamente per un giorno il genitore scomparso.
Un’avventura che prende il via sul corso di queste semplici corde e che da qui appare subito in parte debitrice (con doverose differenze e distanze) di quel percorso già tracciato dallo struggente A.I. Intelligenza artificiale di Spielberg nel lontano 2001. Al centro il tema di un ricongiungimento impossibile, del recupero di un vissuto negato (che Scanlon confessa essere di matrice autobiografica) che passa per la riscoperta di luoghi antichi perduti o ritrasformati dalle colate di cemento, tra leggendarie creature alle prese con il fisco e spiritelli oramai privi di polvere magica.
Con il film di Spielberg ciò si rendeva possibile attraverso l’utilizzo di una avanzatissima tecnologia di clonazione, in Onward tramite il recupero di una magia che proprio in favore dello sviluppo tecnico e scientifico ha ceduto il passo e si è fatta solo ricordo. Ed è qui lo spunto più affascinante di questo lavoro Pixar, nell’evidenziare il passaggio che congiunge il passato alla divenuta memoria ed esplicarne le ragioni in una necessaria (con inevitabili e circoscritti risvolti imbecilli) democratizzazione dell’atto magico, che da appannaggio di pochi si schiude a beneficio dei molti. Il progresso è inevitabile e stupido sarebbe opporvisi, ma è nel rispetto di un recupero delle radici, o quantomeno nella presa di coscienza nei confronti di queste, che risiede una sana possibilità di crescita (in primis del singolo).
È fine ed estremamente maturo il discorso che Scanlon pone a sottotesto di Onward, com’è astuto il modo attraverso il quale l’elemento magico mantiene la sua forma sopita ma manifesta in una quotidianità fatta di combustibili fossili e grattacieli: nell’elemento ludico. L’intero film è di fatti una grande quest uscita direttamente da D&D, tra carte che portano il nome di luoghi leggendari, creature di un’altra era ed indovinelli da risolvere in pieno stile gioco di ruolo con una sinergia profonda tra i partecipanti. La magia resta quindi una costante dalla quale non ci si può smarcare, parte integrante di un percorso di maturazione quale i due fratelli Ian e Barley si ritrovano a condividere assieme come unica entità complementare.
Un racconto di fondo valido ma in superficie poco brillante
Le debolezze di Onward vengono ad emergere nel momento in cui ci si vuole soffermare ad osservare la corteccia del film. Se abbiamo detto come il lungometraggio di Scanlon si erga su delle basi valide, è nell’esplicazione di queste che si va incontro ad un’esposizione davvero poco ispirata rispetto a quanto avvenuto in passato. Partendo dal setting che trae la sua forza da una riuscita (teorica) commistione fantasy/tech, sul mero piano visivo i modelli proposti, i paesaggi esplorati e le esperienze vissute non trovano una messa in scena degna delle fondamenta sulle quali poggiano, rivelandosi di fondo estremamente anonime ed in fin dei conti dimenticabili.
Nessuno qui questiona la genialità in pieno stile Pixar che vena e permea con dei lampi il film, tra bizzarre e divertenti trovate e flash visivi talvolta di natura sublime. Questi, però, in fin dei conti sono solamente attimi, schegge all’interno di una narrazione che di per sé sembra non conoscere variazioni di tono notabili, che si assesta piuttosto su di un racconto monocorde al quale interessa scorrere via rapidamente. Senza dubbio si finisce anche per ridere in modo genuino e probabilmente emozionarsi in determinati frangenti, tuttavia non essendo mai in grado di avvertire quella vibrazione elettrica che segna il salto di qualità che permette ai film Pixar di passare oltre il confine che demarca le grandi produzioni da quelle di natura minore.
Riguardo Onward si ha la sensazione che non ci si sia creduto fino in fondo, che lo si sia preso come un mero riempitivo stagionale mentre sotto la sua scorza avesse un’intimità più profonda che, purtroppo, non è stata in grado di emergere del tutto come avrebbe meritato. Passerà come una cometa alla quale dedicare comunque una visione.
Dopo aver saltato la release prevista a causa del Coronavirus, l’uscita italiana di Onward è stata spostata al 19 agosto.