“In questo momento la nostra migliore difesa è stata il distanziamento sociale.
Nessuna stretta di mano, stare a casa quando si è malati, lavarsi spesso le mani.”
Inutile girarci intorno: la pandemia di Coronavirus ci proietta in un immaginario che la cinematografia ha saputo raccontare più volte nel corso degli ultimi decenni. Da L’esercito delle 12 scimmie a Train to busan, da Virus Letale a 28 giorni dopo: tutte narrazioni in cui virus sconosciuti e micidiali aggrediscono la civiltà umana. Eppure c’è una pellicola che forse più di altre ha saputo anticipare in modo sorprendente quello che stiamo vivendo, tanto che molti la stanno considerando come un sorta di “prequel” della realtà. Si tratta di Contagion, film del 2011 di Steven Soderbergh che solo alla fine dell’anno scorso era al 270° posto nella classifica di vendita del catalogo della Warner Bros e che il 14 marzo 2020 è balzato in seconda posizione, preceduto solo dai film della saga di Harry Potter.
Contagion: un noir tipicamente soderberghiano
A partire dall’incipit del film notiamo una diabolica affinità tra la genesi della pandemia di Contagion e quella del nostro Coronavirus. Tutto ha inizio da una donna d’affari americana, Beth Emhoff (Gwyneth Paltrow), che di torno da Hong Kong crolla a terra apparentemente per una banale influenza. Portata velocemente in ospedale muore poco dopo il suo ricovero diventando a tutti gli effetti la prima vittima di una malattia indicata successivamente con la sigla di virus MEV-1. Attraverso episodi quotidiani, focalizzandosi sui microcosmi dei singoli personaggi (il cast vede, tra gli altri, Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Kate Winslet e Jude Law), Contagion racconta una veloce quanto inevitabile diffusione del virus in tutto il mondo. Una struttura narrativa corale che avanza come un noir piuttosto che come un classico disaster-movie, con uno stile, tipicamente soderberghiano: ritmato e incalzante (grazie anche alle composizione musicali del “drummer” Cliff Martinez), eppure, nello stesso tempo, asciutto, preciso, pulito.
Le similitudini del film con la pandemia del Coronavirus Covid-19
Quello che è davvero impressionante sono le tante similitudini fra la pandemia del virus nel film di Soderbergh e quella del nostro Coronavirus Covid-19: la trasmissione dall’oriente (da Honk Kong in Contagion, dalla provincia Wuhan da noi), la sua natura collegata al salto di specie dagli animali selvatici all’uomo, il suo presentarsi con i sintomi di una semplice influenza per poi diventare mortale (anche se il MEV-1 del film ha un tasso di letalità molto più alto, fra il 25% e il 30%). Allo stesso modo, sono quasi identiche le conseguenze politiche ed emergenziali alla pandemia: il panico, le quarantene, gli assalti ai supermercati, l’attivazione di tutta una serie di protocolli dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per contenere il contagio, i consigli di “stare a casa” e di “lavarsi le mani”. Dopotutto, a differenza delle narrazioni apocalittiche qui i veri “eroi” sono gli esperti stessi delle autorità sanitarie che restituiscono un impianto narrativo “divulgativo”: dalla caccia al paziente zero allo studio delle curve esponenziali (la famosa variabile R0 che abbiano iniziato a conoscere molto bene). Contagion è così vicino alla realtà che alcuni esperti consigliano di guardarlo anche per capire quello che ci aspetterà da qui ai prossimi mesi. Compreso il modo in cui nel film l’OMS decide di distribuire il vaccino, destinato ad essere iniettato a miliardi di persone.
Il contributo degli scienziati alla sceneggiatura
Tutto questo però non è semplicemente un caso: Scott Z. Burns, che sta dietro la sceneggiatura del film, tra il 2009 e il 2010 ha condotto un bel po’ di ricerche direttamente presso il CDC (un po’ quello che è per gli statunitensi il nostro Istituto Superiore di Sanità), frequentando due famosi epidemiologi come Lawrence “Larry” Brilliant e W. Ian Lipkin. Entrambi hanno dato un contributo fondamentale per “immaginare” non solo la progressione di una pandemia a livello globale ma anche come avrebbe reagito l’Organizzazione Mondiale della Sanità di fronte a una tale minaccia. In più Soderbergh e Burns hanno richiesto la consulenza di Laurie Garrett, divulgatrice scientifica e autrice del libro The Coming Plague che aveva studiato da vicino gli effetti dell’aviaria e della SARS, virus che hanno ispirato il fantomatico MEV-1. Insomma, non c’è niente di impossibile nella costruzione narrativa di Contagion e la situazione del mondo di questi giorni conferma la verosimiglianza di tutte le sue ipotesi.
Il ruolo dei nuovi media
Ma ciò che rende davvero interessante questo film è la riflessione amarissima di Soderbergh sull’inevitabilità di una pandemia all’interno del nostro villaggio globale. Il mondo di Contagion si relaziona e comunica proprio come facciamo noi oggi, attraverso la rete, voli low cost, blog, chat, social network (si cita spesso Twitter, e non a caso). I tempi di propagazione del virus, sono quelli attuali dei media digitali (o se volete, delle crisi finanziarie): velocissimi e spietati. Insomma, tutto è “virale”, non solo il virus stesso. Tanto che un blogger complottista (Jude Law) può costruirsi un pubblico come nuovo “profeta 2.0″ arricchendosi alle spalle della tragedia a suon di fake-news. “Per ammalarsi, si deve entrare in contatto con una persona malata o con qualcosa che abbia toccato. Per spaventarsi basta entrare in contatto con una calunnia, con la televisione o con internet” puntualizza in una scena il dottor Ellis Cheever interpretato da Laurence Fishburne. Insomma, dietro la pandemia non ci sono complotti governativi da smascherare (vedi Virus Letale) o i potenti in combutta contro i popoli: è piuttosto l’uso distorto dei nuovi mezzi di comunicazioni che appare, lungi da essere la cura del virus, uno dei suoi sintomi più devastanti.
Le minacce della postmodernità
É proprio qui che Soderbergh sembra affondare i “denti”, strappando morso dopo morso, l’idea positiva che ci siamo fatti di uno spazio civile globalizzato, ma, anzi, rovesciando la sua caratteristica inclusività sociale in una pericolosa minaccia all’esistenza stessa dell’umanità. Che l’approccio di Soderbergh metta in guardia nei confronti degli spazi aperti dalla postmodernità lo si nota in altri particolari del film. Mentre la figlia di Mitch Emhoff/Matt Damon costretta a incontrare il ragazzo amato dopo una lunga attesa (perché lui ancora non vaccinato) ci appare quasi un ritorno i vecchi valori delle relazioni sentimentali, sono le ultime scene che non lasciano spazio al dubbio: nella genesi del virus c’è lo zampino dell’Uomo (globalizzato, of course) che deforesta zone incontaminate e cresce animali in allevamenti intensivi. Vi ricorda qualcosa?
Contagion non è solo la pellicola che ha previsto la pandemia del Coronavirus, ma anche forse il film più politico – nel senso filosofico e sociologico – di Steven Soderbergh, capace di parlarci non tanto di un’apocalisse materiale, ma innanzitutto culturale e sociale. Forse è questo che fa davvero più paura: il suo modo di farci riflettere su un mondo dove tutto dipende da tutti. Virus compresi.