A dodici anni di distanza dall’uscita del primo film dedicato ad Iron Man, è sotto la luce del sole come esista un preciso pantheon dei cinecomic chirurgicamente codificato attraverso gli oltre venti capitoli che costituiscono il Marvel Cinematic Universe. A questo si contrappongono le pellicole della principale contendente al monopolio che è la DC Comics, la quale però non riesce a vantare un piano editoriale all’altezza dei cugini, con fallimenti dettati dai continui rovesciamenti di idee ed immaginari.
Negli ultimi tempi ha iniziato a cimentarsi con la creazione di un ecosistema supereroistico (com’è inteso oggi) anche la Sony, che già detentrice dei diritti dell’amatissimo Spider-Man sta tentando di ampliare i propri orizzonti creando un proprio universo narrativo con opere come Venom (il cui sequel è in lavorazione) ed il futuro Morbius con Jared Leto. Non paga di rimanere nella sfera creativa erede del genio di Stan Lee, il colosso giapponese si è accaparrato i diritti di sfruttamento di alcuni personaggi partoriti in casa Valiant Comics, fondata sul finire degli anni ’80 da Jim Shooter, fuoriuscito dalla Marvel.
Bloodshot come apripista per un nuovo universo cinematografico di supereroi
Qui nasce il Bloodshot di David S.F. Wilson (per lui il suo debutto alla regia), che nelle intenzioni dovrebbe porsi ad apripista per un un nuovo universo cinematografico condiviso dal respiro meno ampio ed in controtendenza rispetto a ciò che abbiamo imparato a conoscere. Diciamo questo perché il film sceneggiato da Jeff Wadlow (Fantasy Island) ed Eric Heisserer si trascina dietro una chiara volontà di piantare la sua bandiera un gradino più in basso rispetto alla gesta di Captain America & co., occupando una striscia di terra meno sensazionalistica ma non per questo meno spettacolare (anzi).
A partire da un budget ridotto rispetto agli attuali standard del format (di comunque 45 milioni di dollari), Bloodshot non si perde in fronzoli e pone semplici premesse per una semplice origin story basata sulla vendetta. Questo non significa che il film non tenti di imboccare la via con alcuni rovesciamenti di trama atti a far procedere con più brio il racconto, ma basti sapere che il fulcro ruota attorno al personaggio di Ray Garrison (Vin Diesel) che deve venire a capo di un intrigo a forza di scontri fisici e sparatorie. Eccolo qui il vero nucleo di Bloodshot, incipit alla creazione di una via alternativa per il genere.
L’acceleratore dell’action è spinto dal primo istante fino in fondo per far carburare una macchina che inizialmente sgomma ma poi ingrana (un po’ troppo lentamente) su quell’unico percorso che conosce e vuole conoscere. Lo fa a partire dalla regia di Wilson che sembra imparare quasi tutto dalla sfrenata scuola del Michael Bay dei tempi dei primi Transformers, aiutata nell’intento anche dalla fotografia satura di Jacques Jouffret. L’esclusiva priorità della macchina da presa è posta sul maniacale intento di esaltare l’impatto del corpo contro corpo, mentre nell’aria volano proiettili al ralenty e Ray/Bloodshot fa incetta di avversari ed ossa rotte.
Vin Diesel e l’action centro di tutto il film
È inevitabile che l’attenzione ruoti attorno alla fisicità steroidata di un Vin Diesel che non si scosta poi molto da quel phisique du role perfezionato negli anni e arrivato a coronamento con l’interminabile saga di Fast & Furious. Interessante in realtà sarebbe il discorso legato a come questa massa muscolare segno di virilità e potenza per alcune ragioni non sia del tutto sotto il controllo del protagonista, ma distoglierebbe l’attenzione da quella caleidoscopica fiera dell’intrattenimento che Bloodshot tenta di mettere in scena come suo scopo primo ed ultimo.
Gli spiegoni (tanti) ed i discorsi motivazionali non sono altro che un inevitabile gancio tra una sequenza d’azione e l’altra, piccole sessioni di riposo prima di lanciarsi nell’ennesimo scambio di colpi coreografati tutti in maniera abbastanza accurata e con l’ausilio di una buona CGI funzionale alla strutturazione di effetti visivi degni e mai caotici. La violenza è molta ma sempre ben contenuta e spettacolarizzata, racchiusa all’interno di un contenitore dove ci sono varie spruzzate provenienti da tutto quel filone di serie b che guarda alla filmografia dei vari Steven Seagal e Jean-Claude Van Damme.
La categorizzazione di second’ordine alla quale Sony cerca di andare a parare con questo primo super-anti-eroe della Valiant è dettata dalla volontà di non pestarsi i piedi da sola, ancor prima di evitare qualsivoglia rischio di incappare in un confronto con i colossi da incassi miliardari. Bloodshot sceglie così di provare a intercettare un’altra tipologia di interesse, complementare al cinecomic classico ma ancor più umorale e di presa immediata attraverso la fusione della pagine del fumetto con la fortunata scia di saghe alla John Wick.
Bloodshot, che a causa del Coronavirus non è uscito in sala come inizialmente previsto, è disponibile in streaming in Italia sulla piattaforma Chili.