Il cinema di Favolacce, disponibile in DVD e blu-ray CG Entertainment, è fatto di volti, sudore, abissi. È un cinema fiabesco senza principe azzurro dove a farla da padrone sono lupi dalle fauci spalancate. È un cinema a cui piace raccontare e che nel farlo si articola nell’immaginazione che è menzogna, mentre rielabora qualcosa lasciato a metà e decide di aggiungere, qui e lì, note dal colore scuro, sanguigno. I Fratelli D’Innocenzo, vincitori con quest’opera seconda dell’Orso d’argento per la sceneggiatura al Festival di Berlino, confermano con notevoli passi in avanti le doti naturali che già ne La Terra dell’Abbastanza (di cui abbiamo regalato la visione in streaming ai nostri lettori) evidenziavano la capacità di incanalare nelle inquadrature la bruttezza e la storpiatura che si incrosta sui margini.
Attraverso un gusto dell’orrido piegato al grottesco, i gemelli romani firmano un film dal sapore totalmente inedito nell’attuale palcoscenico della cinematografia italiana, dedicandosi all’arte della narrazione che sussiste in virtù di sé stessa e delle creature (feroci) che da essa emergono.
Il nuovo film dei Fratelli D’Innocenzo, Favolacce, incarna l’inquietudine di un incubo ad occhi aperti
D’altronde la Spinaceto delle villette a schiera dove Favolacce trova la sua ambientazione non è un luogo reale, non ha un posto assegnato nell’ordine di ciò di cui possiamo avere esperienza. È un qualcosa che salta fuori dalle pagine di un diario ritrovato, dalle righe scritte da una bambina ignota e poi bruscamente interrotte senza motivazione. Questo quartiere bagnato da un innaturale sole è una proiezione sospesa, elaborato, stropicciato da un narratore qualunque (Max Tortora) che si è ritrovato quelle parole tra le mani.
Non le ha cercate, semplicemente ora sono lì e la sua testa viaggia in quello spazio appiccicaticcio di una provincia inesistente che va ad incollarsi sulla retina storpiando le immagini che finiscono per apparire come incubi su dilatati occhi aperti. Forse questa storia passa dentro troppe voci e teste diverse, per questo ci giunge venata da un asfissiante senso di inquietudine che paralizza in un’a-temporale estate dove l’unico leitmotiv è quello sonoro delle assordanti cicale che ci inchiodano senza via di fuga.
I pranzi tra amici non sono pranzi, le cene in famiglia non sono cene, ma tutto è un ringhio con le zanne ben in vista pronte a ricordare che qualcosa di brutto potrebbe accadere, che qualcosa in questo caldo che non passa rischia davvero di andare storto. Dopotutto è già nelle fisicità tese e subito dopo storpiate degli eccezionali interpreti, grandi e piccoli (uno più incredibile dell’altro, da Elio Germano a Max Malatesta, da Tommaso di Cola a Ileana D’Ambra) che si avverte quel brivido gelido che è l’unico segno dell’appartenenza a questo strato dell’immaginazione.
Favolacce, premiato al Festival di Berlino, è il racconto senza scampo di una provincia inesistente
Le smorfie dei volti ed i repentini strappi umorali aprono e chiudono le imposte su un universo intessuto negli istinti più gretti ed animaleschi di una provincia (che è sempre periferica a qualcosa) eternamente insoddisfatta ed irrealizzata, dove a schizzare fuori dalle orbite degli occhi è la mostruosità di una mediocrità insanabile. Come è insanabile il divario che separa un mondo di adulti-orchi da quello di una fanciullezza impermeabile ed in virtù di questo solamente esposta, schiacciata in sé stessa da una malsana emulazione priva dell’incanto ed annegata, precocemente, nella concretezza della vita.
Favolacce è il corrispettivo filmico di un libro pop-up, desideroso di concedere la tridimensionalità e caratura cromatica alla sua storia(ccia) solamente nel momento in cui la racchiude all’interno del frame, di illudere i suoi burattini di esistere e di cercare qualcosa in quello specifico frangente che però è eterno, altrimenti “che cazzo campamo a fare”. Poi gira pagina e tutto torna ad appiattirsi mescolato al resto, condannato a far parte di un vero, falso, grande inganno. E forse anche poco ispirato.
Quello dei Fratelli D’Innocenzo è un cinema di pura narrazione, popolato da bestie nichiliste ed incompiute. Un cinema senza via di scampo e partorito dal (e nel) nulla con il quale ci auguriamo una nuova rotta possa essere tracciata. Ora attendiamo il loro prossimo film, un western il cui script è stato ‘supervisionato’ da Paul Thomas Anderson.