Tra le novità Netflix del maggio 2020, The Eddy è la nuova serie creata da Jack Thorne (già sceneggiatore di Skins e His Dark Materials) che vanta come regista dei suoi primi due episodi il Damien Chazelle del pluripremiato La La Land. Nonostante il fil rouge degli otto capitoli che compongono la serie sia un riverbero musicale che accomuna i componenti della band del locale che porta, appunto, il nome di The Eddy, Thorne decentra fin da subito l’attenzione su di un quadro più intimista e relazionale.
Dovrete quindi dimenticare immediatamente le ossessive sonorità cuore pulsante del cinema di Chazelle (spacciato, anche a fini di marketing, per qualcosa di più rispetto a ciò che effettivamente è nella serie), preparandovi ad accettare un racconto non privo di difetti ed in più di un frangente eccessivamente prolisso nell’intessere le sue parti.
The Eddy e la sua coralità a mezzo servizio
Siamo in una Parigi che non fa nulla per farsi riconoscere, mai inquadrata nei suoi iconici tratti distintivi ma che, anzi, è una periferia percorsa in lungo ed in largo da una multiculturalità sprigionata nei volti e nelle parole di etnie, religioni e lingue diverse. Elliot Udo (André Holland), pianista di fama internazionale, è il proprietario di un piccolo locale jazz tanto frequentato quanto impantanato tra i debiti ed i conflitti interni tra i membri della band.
Senza perdere troppo tempo, accade qualcosa che incrina il corso di una narrazione che sin dall’inizio verrà percorsa dalle conseguenze di un atto inaspettato e che colpisce come un fulmine a ciel sereno che si trascina dietro la tempesta. Senza svelare nulla, una scelta indubbiamente coraggiosa e funzionale ad innescare un racconto ben più torbido di quanto si possa in prima istanza immaginare, attraversato da caratteri da noir metropolitano riuscito più negli intenti che nella resa effettiva su schermo.
La forza di The Eddy è infatti giocata nella sua quasi totalità sullo spessore dei propri interpreti, un eterogeneo mix culturale composto da personalità che rispecchiano quel tessuto urbano marginale raccolto all’interno del locale. Se però da un lato questa è la forza della serie, dall’altro è anche il suo principale tallone d’Achille. Difatti tutti e gli otto episodi portano il nome di uno dei personaggi, con l’intento di sondare nello specifico, pezzo per pezzo, il vissuto di questi spicchi di umanità che compongono un pantheon di reietti con le proprie aspirazioni, i propri rapporti, i propri peccati.
È stimolante vedere come interagiscono e vivono le loro esperienze quelli che riconosciamo immediatamente essere i veri protagonisti della serie, come ad esempio la sempre magnetica e poliedrica Joanna Kulig, oppure la giovanissima, e qui incredibile, Amandla Stenberg. Lo è decisamente meno quando siamo costretti a seguire (in capitoli che sfiorano l’ora di durata) le peripezie di personaggi come quello di Lada Obradovic oppure Damian Nueva, sulle cui doti personali non c’è da questionare ma che ai fini di uno sguardo più ampio addormentano eccessivamente un interesse generale che già stenta a decollare da sé.
Un musical-crime-drama da prendere con le pinze
Occorre riconoscere che anche la presenza di una vena crime-drama, che dovrebbe reggere i giochi dall’inizio alla fine, si arrovella in snodi eccessivamente farraginosi e sostanzialmente approssimativi, dove l’apporto onnipresente di un personaggio come quello di Elliot alla “genio ferito ed intrattabile” pone un carico da novanta complicato da mandare giù e digerire.
A farne le spese è quello che avrebbe potuto essere il cuore più genuino di The Eddy, la componente musicale, curata nei dettagli dai compositori Glen Ballard e Randy Kerber e che nei momenti in cui è lasciata agire in veste del ruolo che deve ricoprire, del collante sopra i vizi di un’umanità fallace, regala i momenti migliori non risparmiando di farci accorgere quanto tutto ciò che ci sia intorno funzioni effettivamente meno.
The Eddy è una serie che va presa con le pinze, mai accomodante e con molte barriere all’ingresso che persistono nel corso della sua intera durata, sicuramente inadatta al binge-watching e con una netta predominanza dei momenti tiepidi su quelli di reale calore.