Hamilton, il musical ora disponibile in streaming su Disney+, dal suo debutto nel 2015 è diventato un vero caso negli Stati Uniti: uno di quei fenomeni culturali che monopolizzano la conversazione e che sono capaci di lasciare un segno indelebile. Infinite repliche a Broadway e a Chicago (ma anche a Londra), un premio Pulitzer per la drammaturgia, sedici candidature e undici premi ai Tony Award, un Grammy come Miglior Album da un Musical Teatrale, otto Drama Desk Award. E poi ancora l’impressionante impatto sulla cultura pop; l’esibizione alla Casa Bianca di Obama; l’improvvisa fama mondiale per il geniale compositore delle musiche, autore del libretto, produttore e attore protagonista Lin-Manuel Miranda.
HAMILTON: IL MUSICAL, IN STREAMING SU DISNEY+ COME STRATEGIA DI RIPIEGO
Come vi avevamo già raccontato un paio d’anni fa nella recensione de Il Ritorno di Mary Poppins – in cui Miranda è coprotagonista – Hamilton è probabilmente il più importante musical degli ultimi 20 anni. Cionnonostante non lascia indifferenti la cifra record che The Walt Disney Company ha pagato per avere i diritti sulle riprese al Richard Rogers Theatre del giugno 2016: 75 milioni di Dollari; un investimento assolutamente senza precedenti, con cui la multinazionale aveva intenzione di monetizzare nei cinema a fine 2020 ma che è finito direttamente in streaming sulla neonata piattaforma web service, la quale a pochi mesi dal lancio rischia già di rimanere a secco di contenuti per lo stop imposto alla produzione di serie live action dalla pandemia di Covid-19.
L’INCREDIBILE STORIA VERA DI ALEXANDER HAMILTON E DEI PADRI FONDATORI DEGLI STATI UNITI
Per avere un’idea della storia vera del personaggio storico su cui è incentrato lo show (un leggendario statista, comandante, letterato, avvocato, economista e banchiere nonché figura chiave della Rivoluzione Americana) possiamo partire dalla traduzione dei testi del brano Alexander Hamilton, che ne descrivono le umili origini e la scalata sociale: «Come è possibile che un bastardo, orfano, figlio di una puttana e uno scozzese, abbandonato nel mezzo di un posto sperduto nei Caraibi, ridotto sul lastrico dalla sorte, sia cresciuto diventando un eroe e un erudito? Quello dei 10 Dollari, padre fondatore senza un padre, si è fatto strada lavorando molto più duramente, essendo molto più intelligente, avendo spirito di iniziativa – a 14 anni lo misero a capo delle rotte di importazione. E ogni giorno, mentre gli schiavi venivano massacrati e deportati tra le onde, lui lottava e guardava avanti; dentro di sé bramava qualcosa di cui sentirsi parte, il nostro era pronto a implorare, rubare, prendere in prestito e barattare. Poi arrivò un uragano, devastazione ovunque, e il nostro uomo vide il proprio futuro finire in una fogna; si poggiò una matita alla tempia, ne fece l’estensione del suo cervello, e scrisse del suo primo tema ricorrente, la testimonianza del suo dolore.»
“UN ALTRO IMMIGRATO CHE VIENE DAL BASSO”
«La sua parola iniziò a girare, dissero: “questo ragazzino è incredibile!”, fecero una colletta per mandarlo nella Terra Madre – “Fatti una cultura ma non scordarti da dove vieni, e il mondo imparerà il tuo nome!” (…) Quando aveva dieci anni il padre se ne andò, esasperato, coperto dai debiti; due anni dopo Alex e la madre finirono bloccati a letto, moribondi, giacevano malati, l’aria irrespirabile, e mentre Alex migliorò presto la madre se ne andò. Poi si trasferì dal cugino, ma il cugino si suicidò e lo lasciò con nient’altro che l’orgoglio ferito e qualcosa di nuovo dentro, una voce che diceva: “Alex devi badare a te stesso!”. Iniziò a prendere e leggere ogni trattato sugli scaffali. Non ci sarebbe stato nient’altro da fare per qualcuno meno astuto, sarebbe morto o diventato un barbone, senza un centesimo in cambio; ma iniziò a lavorare, a fare il commesso per il padrone della madre defunta, a commerciare canna da zucchero, rum e tutte quelle cose che non si poteva permettere, a impossessarsi di ogni libro su cui riusciva a mettere le mani, a programmare il futuro. Eccolo ora sulla prua della nave che lo porta in una nuova terra. A New York puoi essere un uomo nuovo! (…) La nave è arrivata nel porto, puoi provare a vederlo, un altro immigrato che viene dal basso. I suoi nemici ne hanno distrutto la reputazione, l’America l’ha scordato ma noi abbiamo combattuto con lui.»
DALLE UMILI ORIGINI DI HAMILTON ALLA NASCITA DELL’AMERICA MODERNA, PASSANDO PER LA RIVOLUZIONE
Lo spettacolo attinge alla bellissima biografia Alexander Hamilton di Ron Chernow, pubblicata nel 2004 ma ancora inedita in Italia, e si apre con l’arrivo di Hamilton a New York nel 1776, raccontando dapprima l’incontro del protagonista con altri rivoluzionari quali Aaron Burr, il Marchese di La Fayette, John Laurens ed Hercules Mulligan, nonché con quella che diventerà la moglie del protagonista, Eliza Schuyler. Il primo atto prosegue poi inscenando la Guerra d’Indipendenza Americana al fianco del generale e futuro presidente George Washington. Nel secondo e ultimo atto, infine, assistiamo alla nascita dell’America moderna con Hamilton che diventa il primo Segretario del Tesoro e infine al tragico momento nel quale l’amico del protagonista e compagno di battaglia Aaron Burr lo sfiderà a duello uccidendolo.
GLI INGREDIENTI PER UN SUCCESSO PERFETTO
La storia vera di Hamilton, della quale il musical censura i passaggi più compromettenti (quelli riguardanti il genocidio dei nativi americani e la questione della schiavitù), ha in sé tutti gli elementi di una storia perfetta proposta al momento giusto, e come è facile capire, già solo nel brano sopraccitato che introduce il title character sono presenti in nuce gli ingredienti che hanno fatto in così poco tempo di Hamilton una pietra miliare del musical americano e mondiale. Abbiamo infatti innanzitutto una storia di umane sventure capace di agganciare da subito l’empatia del pubblico, ma anche la speranza quale scintilla inestinguibile – origine del mito dell’American dream. Il tema del sogno americano si riverbera anche nell’idea di esercito di colonizzati di ogni provenienza etnica che decidono di combattere insieme per difendere il diritto all’autodeterminazione politica e culturale e che poi uniscono gli sforzi per scrivere le regole del vivere civile. Abbiamo infine un appassionante e sorprendente racconto didattico destinato a toccare nel profondo un popolo spesso fin troppo inconsapevole del proprio passato; una lezione di storia in musica che restituisce tridimensionalità a quello che per molti era un volto anonimo effigiato sulla banconota da 10$.
LO STILE DELLE CANZONI DI HAMILTON È UNA DICHIARAZIONE POLITICA
In ogni musical le note sono importanti quanto e più del libretto, ma nel caso di Hamilton – opera nella quale i testi delle canzoni hanno un fondamentale ruolo didascalico – le musiche hanno l’inedita responsabilità di traslare gli eventi raccontati su un tempo più recente, sovrapponendo la battaglia per i diritti dei primi americani a quella quotidiana battaglia per i diritti che le ‘minoranze’ statunitensi (afroamericani per primi) devono incredibilmente condurre ancora oggi per non essere trattati come cittadini di serie B. È infatti proprio nell’ardita scelta di abbinare costumi e scenografie settecenteschi e parti orchestrali tradizionali alla musica black (hip hop ma anche r’n’b e soul) che risiede la geniale intuizione di Miranda. L’autore usa la musica degli emarginati per raccontare una storia di riscatto dando un messaggio all’America di oggi, e lo fa attingendo con generosità a una creatività e un talento senza pari. È così che un grandissimo gusto melodico, che nulla ha da invidiare ai cult di Broadway, si sposa a uno straordinario senso ritmico, in cui flow e delivery trasformano la narrazione di eventi storici in un flusso di parole a dir poco magnetico (a patto che parliate un ottimo inglese o vi siate presi la briga di leggere i testi prima della visione).
LA DIFFERENZA TRA ASCOLTARE UN MUSICAL E VEDERE UN MUSICAL
I costumi, che rievocano nel modo più tradizionale possibile le uniformi e gli abiti dell’epoca, rendendo al contempo ben chiara la narrazione (si pensi ai colori degli abiti delle sorelle Schuyler, fondamentali per imparare rapidamente a distinguerle), mentre le scene essenziali sono pienamente in funzione di coreografie mai sguaiate. Tutti elementi che fino ad ora aveva potuto apprezzare solo chi avesse avuto la fortuna di riuscire ad acquistare un biglietto per la performance teatrale (e parliamo di biglietti da 800$ l’uno che andavano sold out in una manciata di minuti), ma che il grande pubblico, pur avendo accolto in modo incredibile l’album registrato in studio e cantato dal cast originale, poteva solo immaginare.
UN CAST ECCELLENTE NELLA RECITAZIONE QUANTO NEL CANTO
Ad essere il vero valore aggiunto di questo ‘regalo’ che Disney+ fa ai propri abbonati è però la performance di un cast incredibile, la cui straordinaria capacità espressiva arricchisce di dimensioni completamente nuove la ‘mera’ esperienza musicale. A illuminare il palco con ogni movimento nello spazio, accenno di espressione o gesto è l’ipnotica interpretazione offerta da Lin-Manuel Miranda, che carica il suo Hamilton di una positività e un’energia quasi fanciullesca, mentre fa sfoggio di un rapping eccelso, che propone anche con soluzioni inedite quale la fuga a due voci nel brano Farmer Refuted. Le ottime scelte di casting fanno però in modo che i personaggi principali non sfigurino affatto al fianco di Hamilton, e così la bravissima Phillipa Soo (classe 1990), il love interest Eliza, fa sfoggio di doti vocali ragguardevoli con una naturalezza e una spontaneità disarmanti, mentre un maiuscolo Leslie Odom Jr. (visto in Assassinio sull’Orient Express) riesce con le sue espressioni, impossibili da immaginare ascoltando il disco, a dare vita a tutto il cameratismo amicale su cui si costruisce il percorso che precede la rivoluzione, e a rendere magnificamente la tragica contraddittorietà del suo personaggio Aaron Burr: mentore, amico e invidioso assassino.
L’INCONTENIBILE COMICITÀ DEL PROTAGONISTA DELLA SERIE TV MINDHUNTER
Vi è poi l’insospettabile componente di un’ironia totalmente affidata ai corpi, che se ha qualche buon momento in alcuni passaggi di Miranda e Odom, esplode quando il superbo Jonathan Groff (già protagonista di Mindhunter per Netflix) porta in scena Re Giorgio III. L’orecchiabilissima You’ll be Back, che pare uscita direttamente da un album di Ben Folds, di suo gode di un’eccellente intuizione comica nella scrittura nel momento in cui decide di presentare le minacce del Sovrano del Regno Unito alla sua colonia nella forma di una canzone d’amore possessiva e ricattatoria. Quando però si ha finalmente la fortuna di vedere Groff portare in scena un odioso sovrano bacchettone, effeminato e dallo sguardo quasi psicopatico, la performance prende il volo e il talento ruffiano dell’interprete non può che chiamare applausi e risate a scena aperta.
HAMILTON: LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DI “SOGNO AMERICANO”
In conclusione Hamilton non è solo musical, ma ha la capacità e il merito di essere tante cose tutte insieme. Brani come l’ormai iconico My Shot o Aaron Burr, Sir ben rappresentano l’esperienza musicale che trova un magico equilibrio tra un rap dalla produzione eccellente e momenti lirici più tradizionali, ma in un periodo storico che vede l’America dividersi tra l’intolleranza conservatrice e i movimenti per i diritti delle minoranze (che incredibilmente ancora hanno ragione d’esistere nel 2020) rappresenta una lezione di storia indispensabile; una finestra sul passato e sull’identità americana che se si prende qualche libertà nella ricostruzione storica è solo in buona fede, per ricordare agli Statunitensi quei valori che dovrebbero essere comune denominatore alla base del sogno americano. Un sogno fatto di uguaglianza, di libertà, di duro lavoro, di regole del vivere civile e di opportunità per tutti. Un sogno che può cambiare la società in meglio, e che in certi momenti va difeso con le unghie e con i denti.