Lo scorso 10 luglio è arrivato nel catalogo Netflix l’action movie The Old Guard, prodotto dalla Skydance Media a partire dalle tavole dell’omonima graphic novel di Greg Rucka, qui anche la firma dietro la sceneggiatura. Il film, che vede alla macchina da presa Gina Prince-Bythewood, si inserisce in un filone sempre più sterminato di opere dalla lenta carburazione e dal contenuto funzionale ma mai realmente dissimile dai lavori fratelli, pur schizzando subito in cima alla lista dei contenuti più fruiti della piattaforma nei giorni successivi l’uscita.
Senza dubbio è complice l’appeal dei nomi altisonanti che campeggiano sulla copertina come quello di Charlize Theron (tra le note più liete) e, qui in Italia, di Luca Marinelli, che in uno slancio inevitabilmente patriottico non può che far piacere (ancor prima incuriosire) vedere affiancato a star di calibro internazionale in quello che aspira a tratteggiarsi dei caratteri propri di un blockbuster di stampo globale.
The Old Guard: il film Netflix soffre di un intreccio narrativo debole
E proprio la connotazione multietnica dei personaggi che troviamo su schermo, nei corpi anche di KiKi Lane, Matthias Schoenaerts e Marwan Kenzari, trova riscontro in un deus ex machina indefinito ed indefinibile che li accomuna nel condividere il fardello d’essere immortali, neppure per un istante concepito come dono ma sin dalla primissima sequenza caricato sulle spalle come una condanna riguardo la quale è meglio non andarsi a porre troppe domande. Pena sarebbe la pazzia, alla quale esseri come quelli della “vecchia guardia” risultano inclini nel momento in cui scoprono (chi nell’800, chi nel bel mezzo delle crociate, chi in un’epoca remota senza nome) non tanto di non poter morire, ma più precisamente di essere in grado di risorgere ancora ed ancora.
Proprio questo loop rischia di essere paradossalmente fatale quando si teme sopra ogni cosa la cattura ed un passato che si riverbera ancora, ma, soprattutto, nel momento in cui la natura di creature come queste attira l’attenzione di villain (Harry Melling) la cui tridimensionalità caratteriale è lasciata indietro sin dal primo momento in favore di un abbozzo alla “giovane genio milionario e senza scrupoli” cucito addosso con giacca sopra felpa con cappuccio.
Come presto si intuisce, l’intreccio narrativo di The Old Guard è cosa davvero di poco conto, tratteggiato vagamente dalle parti di una revenge story che non si interessa mai realmente di costruire altro al di fuori della struttura che compone il gruppo di immortali. Il focus è tutto sulla possibilità di presentare nel migliore dei modi i personaggi principali ed i rapporti che intercorrono tra questi, ricorrendo spesso e volentieri a momenti di raccordo dove a parlare sono i flashback che costruiscono e delineano il background di ognuno.
The Old Guard e la probabile apertura ad un franchise
Il reale intento è quello di scaldare i motori in vista dell’apertura ad un franchise al quale il finale rimanda esplicitamente e senza lasciare troppi dubbi a riguardo (strategia che Netflix sembra andare a ricercare sempre di più negli ultimi tempi dopo, in particolare, 6 Underground e Tyler Rake). La questione è che in mezzo a tutto questo ci sono quasi due ore piene di film, mai realmente fatali da impedire il ludico della visione, ma allo stesso tempo mai davvero in grado di coinvolgere appieno nel piacere di ciò che dovrebbe essere intrattenimento puro. Due criticità in particolare sono dettate da una parte dalla diluizione eccessiva della componente action della pellicola, con tre macro-scontri (non particolarmente ispirati) a inizio, metà e fine film che nel computo generale risultano piuttosto magri e deboli nel sostenere lo scheletro del film; dall’altra la presenza dell’accompagnamento musicale (quando presente essenziale nel genere di riferimento) curato da Volker Bertelmann e Dustin O’Halloran che definire fuori fase è dir poco, scollato per l’intera durata della pellicola da ciò che avviene su schermo e mai in grado di veicolare adeguatamente il ritmo che finisce per risentirne in ogni frangente.
In definitiva, The Old Guard non è un prodotto pessimo e si configura da subito con l’intento di andare a preparare il terreno per qualcosa che arriverà poi, non dimenticandosi del tutto di offrire dello svago di per sé ma al contempo non riuscendo a scostarsi dagli altri, troppi gemelli che la piattaforma di streaming statunitense ha da offrire.