Antropocene: L’Epoca Umana, disponibile in blu-ray CG Entertainment con Valmyn e la Fondazione Culturale Niels Stensen ma anche in streaming sulla piattaforma CG Digital, è uno straordinario documentario canadese che, come esplicita il titolo, si rifà al concetto di un’era geologica (non ufficialmente riconosciuta) segnata dall’impatto dell’uomo sul pianeta. Il concetto di Antropocene, introdotto per primo dal biologo ecologista Eugene F. Stoermer negli anni ’80 e poi rilanciato un ventennio dopo dal chimico premio Nobel Paul Crutzen, si fonda sul presupposto che il tratto più caratterizzante dell’era geologica in corso sia l’impatto climatico, biologico (in termini di biodiversità e biogeografia), geomorfologico e stratigrafico dell’homo sapiens sul suo ambiente.
L’ANTROPOCENE, L’EPOCA UMANA CHE ‘NON ESISTE’ MA CHE È IMPOSSIBILE NON VEDERE
Non essendo quello dell’antropocene un concetto ancora scientificamente approvato dalla Commissione Internazionale di Stratigrafia, non ha nemmeno una data d’inizio ufficiale. Se alcuni propongono di farne risalire l’inizio addirittura alla rivoluzione neolitica e all’inizio della sedentarietà grazie allo sviluppo dell’agricolura (tra i 12.000 e i 15.000 anni fa), è molto più probabile che, se mai arriverà un riconoscimento ufficiale della periodizzazione proposta da Stoermer e Crutzen, il suo iniziò corrisponderà alla seconda metà del ‘900 e alle tracce geologiche lasciate dai test nucleari degli anni ’60.
A prescindere da quali siano le tassonomie adottate dalla comunità scientifica, è sotto gli occhi di tutti il rivoluzionario (e spesso distruttivo) impatto che la razza umana ha imposto al pianeta terra, e l’accelerazione della consapevolezza ecologica impressa negli ultimi anni dai movimenti sul cambiamento climatico contribuisce a fare di questo bellissimo lungometraggio firmato a sei mani da Jennifer Baichwal, Edward Burtynsky e Nicholas de Pencier un ottimo lavoro didattico dalla grande forza di sensibilizzazione. Se vi fosse bisogno di una riprova del suo valore, basti sottolineare che è passato da festival come Toronto, la Berlinale e il Sundance.
ANTROPOCENE E QUEL DEBITO EVIDENTE VERSO GODFREY REGGIO
I riferimenti dei cineasti sono più che lapalissiani e aleggia come una non-presenza costante il lavoro sull’antropizzazione dell’immenso Godfrey Reggio, partito con la seminale Qatsi Trilogy e ancora vivo nello spettrale Visitors (anch’esso disponibile in home video CG). Se il film-maker di New Orleans puntava a un’esperienza fluida e immersiva molto vicina alla videoarte, i registi di Antropocene: L’Epoca Umana, forti di una solida filmografia nel genere, percorrono una strada ben più consueta – ma senza rinunciare alla spettacolarità. Alternando una moltitudine di dichiarazioni, il voice over di Alicia Vikander (che in Italia è sostituito dalla fastidiosa voce di Alba Rohrwacher) e spettacolari immagini girate in altissima qualità in 6 continenti e 20 paesi, in un’ora e ventisette i metraggio creano un ibrido tra la documentaristica dall’alto valore artistico di Reggio, la magnifica divulgazione delle migliori serie documentarie della BBC e un pamphlet ecologista à la Greta Thunberg.
Un’operazione ben supportata dalle musiche di altre due canadesi, la compositrice specializzata in panorami sonori Rose Bolton e la singolare dr. Norah Lorway, ingegnere informatico specializzato in intelligenza artificiale abituata a esibizioni di musica elettronica live nelle quali programma in tempo reale (in senso letterale, scrivendo stringhe e stringhe di codice visualizzate dal vivo su uno schermo) i propri suoni. Un tandem decisamente singolare e di grande talento, che però fa ogni tanto sentire la mancanza di quei guizzi di ritmo ed energia tipici degli arpeggi di Philip Glass, tanto importanti nel dare ritmo a Koyaanisqatsi e ai suoi successori.
UN DOCUMENTARIO CHE IPNOTIZZA CON IMMAGINI CHE RIMARRANNO IMPRESSE
Se non sempre il ritmo è precisamente vivace, a rendere Antropocene un’esperienza ipnotica ci pensa uno dei tre registi, Edward Burtynsky, che si dà il caso sia uno dei più grandi fotografi paesaggisti al mondo, specializzato proprio nel raccontare l’impatto dell’antropizzazione e premiato dal suo paese nel 2007 con il titolo di Ufficiale dell’Ordine del Canada, la più alta onorificenza nazionale. Le immagini su larghissima scala, ultradettagliate, avvincenti, dalla composizione sempre perfetta, dall’impatto emotivo ineludibile, sono infatti la vera essenza e il primissimo merito del film; la ragione principale per correre a vederlo, per tenerne il disco in bella vista nella propria videoteca e per ricordarsene negli anni a venire ogni qual volta sentiremo parlare di climate change. Se Antropocene ha tre firme, quella di Burtynsky dovrebbe quantomeno essere a caratteri cubitali.
La natura marcatamente divulgativa della pellicola potrebbe far storcere il naso ai cinefili abituati a racconti per immagini più sofisticati, ma in fin dei conti, se anche si fosse optato per la totale abolizione del commento fuori campo, le terribili ma bellissime immagini da sindrome di Stendhal che vediamo sullo schermo basterebbero a raccontarci l’urgenza di un nuovo rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. In un eccesso di coerenza, il blu-ray di Antropocene non arriva nella classica custodia amaray di polipropilene ma in una detestabile e bassissima digisleeve di cartone. Considerato che anche la digisleeve ha un involucro di plastica shrink destinato a finire nella differenziata tra i derivati del petrolio, la scelta di privare il collezionista di una classica custodia in plastica (che si auspica conservata per un tempo illimitato dall’acquirente) sembra inutilmente penalizzante.