Le Ali della Libertà (titolo originale The Shawshank Redemption), appena tornato disponibile in una versione blu-ray di eccelsa qualità audiovisiva grazie a CG Entertainment, è considerato da molte fonti autorevoli uno dei film più significativi di sempre. In un eccesso di generosità IMDb arriva addirittura a metterlo al primo posto nella lista dei 250 film più apprezzati di sempre (una lista molto pop e molto poco cinefila, va detto), ma fonti ben più autorevoli ed esperte – dal decano della critica Roger Ebert al sondaggio di Empire ‘supervisionato’ da Quentin Tarantino e Mike Leigh, dall’American Film Institute alla Writers Guild of America – lo riportano comunque in posizioni altissime nelle classifiche delle pellicole più importanti nella storia del cinema. Ancora oggi infatti questo instant classic del 1994 si dimostra capace di far risuonare le giuste corde in spettatori di ogni generazione. Ragioniamo sul perché.
LE ALI DELLA LIBERTÀ, UN INSTANT CLASSIC SULL’ODISSEA DI UN UOMO MITE
Le Ali della Libertà racconta gli affanni e le speranze della prigionia di Andy Dufresne (Tim Robbins), un mite bancario condannato nel 1947 a due ergastoli per l’omicidio della moglie e del suo amante, nonostante si professi innocente. L’uomo, che sin dall’inizio fa amicizia con un saggio detenuto più anziano (Morgan Freeman), per i primi anni sarà costretto a subire soprusi di ogni sorta per via del suo carattere remissivo e ottimista, ma poi saprà diventare un punto di riferimento benvoluto da tutti i detenuti. Col passare dei decenni, Andy riuscirà anche a costruire un rapporto di mutua convenienza con le guardie e il direttore dell’istituto, riuscendo così a ottenere vantaggi per tutti i carcerati. Al contempo metterà quello stesso ingegno anche al servizio di un suo ‘progetto’ personale e segreto…
FRANK DARABONT E STEPHEN KING: UN’AMICIZIA LUNGA UNA CARRIERA INIZIATA DA UN ‘DOLLAR BABY’
Le Ali della Libertà, che all’epoca della sua uscita fu candidato a 7 premi Oscar (di peso) ma che fallì al box office contro Pulp Fiction e Forrest Gump, è un punto di riferimento imprescindibile per il ‘cinema carcerario’, nonché momento cardine della carriera del suo regista e sceneggiatore Frank Darabont.
Il film è l’adattamento di un racconto di Stephen King tratto dalla raccolta Stagioni Diverse, dal titolo L’eterna primavera della speranza – Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank. Quello con King è un legame che ha segnato tutta la carriera di Darabont, che iniziò proprio con un cortometraggio tratto dal racconto La Donna nella Stanza, i cui diritti vennero concessi dallo scrittore americano al prezzo simbolico di 1$ – un’abitudine consolidata del prosatore di Portland, nota con il nome di ‘dollar baby‘.
Stephen King e quello strano quadretto-provocazione per restituire i soldi al regista
Quando Darabont, pronto a debuttare alla regia di un lungometraggio, tornò da King con un assegno di 5000$ per acquisire anche la storia di The Shawshank Redemption, il romanziere si dimostrò scettico ma incuriosito, e accettò rispedendo però al mittente l’assegno, in un quadretto in cui aveva scritto «Se mai dovessero servirti i soldi per una cauzione. Con affetto, Steve». La scommessa di Darabont fu ovviamente vinta (tanto che King sottolinea sempre come Le Ali della Libertà sia, insieme a Stand By Me, il suo adattamento preferito), e i due tornarono a collaborare anche per Il Miglio Verde e The Mist.
Lo scetticismo di King quando il regista e sceneggiatore gli chiese di adattare quella novella carceraria – a sua volta ispirata al racconto Dio vede la verità ma non la rivela subito di Lev Tolstoj, poi divenuto fonte di ispirazione anche per il bellissimo The Woman Who Left di Lav Diaz – non era del tutto immotivato: la storia era prevalentemente legata al punto di osservazione di Red e non aveva troppi spunti per trarne un film intero. Quello che lo scrittore non aveva considerato era che Darabont avrebbe radicalmente riscritto molti passaggi, ripensando la sorte di alcuni personaggi e inserendo momenti di grande impatto (si pensi ad esempio a quelli legati a Brooks, a Tommy o al secondino Norton). Un approccio in grado di creare un perfetto turbinio di emozioni e di riempire ampiamente ben due ore e ventidue di metraggio – che scorrono magnificamente, quasi senza che lo spettatore se ne accorga.
IL ‘TALL TALE’, QUEL RACCONTO IMPROBABILE NEL DNA DELLA LETTERATURA AMERICANA
Nonostante il contesto estremamente duro della storia e una buona dose di eventi decisamente drammatici, il tono di Le Ali della Libertà (complici un casting perfetto e le musiche di Thomas Newman) rimane sempre caratterizzato da una certa levità, e per ammissione dello stesso regista il film incorpora caratteristiche di quella che in Italia, per mancanza di un termine proprio, potremmo definire ‘una favoletta’. In realtà il concetto cui si rifà Dorabont è molto più nobile e complesso, ed è quello del tall tale: una tipologia di narrazione estremamente rappresentata nella letteratura popolare statunitense sin dalle sue origini, costruita su vicende improbabili e volutamente esagerate (in inglese la ‘tall story’ significa ‘panzana’) che si svolgono in contesti radicati nella realtà.
È proprio in virtù di questa natura che, pur essendo un film degli anni ’90, mantiene un’identità al di fuori del tempo, che ben rispecchia le ispirazioni primarie ammesse dal regista: non tanto prison movie come L’uomo di Alcatraz (che pure è evidentemente citato) quanto i tall tale di Frank Capra, come Mr. Smith Va a Washington o La Vita è Meravigliosa.
Un film edificante alla Frank Capra nel quale tendiamo a scordarci delle mura del carcere
Una delle caratteristiche più importanti del film, nonché quella che maggiormente permette allo spettatore di leggervi significati universali, è il fatto che pur svolgendosi interamente in una prigione, col progredire sembra quasi che le mura del carcere di Shawshank svaniscano nel nulla. Le vicende del protagonista e dei comprimari assumono un valore assoluto, che replica rapporti di potere e sentimenti di solidarietà che sono gli stessi che potremmo trovare in ogni contesto. Un film fortemente didascalico e morale, che vuole ricordarci l’importanza di non permettere alla vita di toglierci certi valori.
Dopo un inizio inevitabilmente legato alla scoperta da parte del protagonista della sua nuova condizione di recluso, all’impatto dei soprusi da parte dei bulli noti col nome di “le sorelle” e agli abusi di quelle guardie che – con un ribaltamento piuttosto tradizionale – si riveleranno i villain principali, il racconto di Darabont cambia. È come se, introdotte allo spettatore le ‘regole del gioco’, una volta che il protagonista si è rassegnato a dover passare in quella gabbia i decenni a venire, ci si potesse concentrare su come il carattere, le aspirazioni e le azioni di un uomo possono impattare sulla società che lo circonda; fosse anche un microcosmo isolato come quello.
È qui che, come in un perfetto tall tale, le peculiarità di un protagonista quasi naïf riescono a sprigionare una forza silenziosa e inarrestabile che trasforma l’ecosistema della prigione. Non è il ‘buono’ ad essere piegato, ma è anzi quel mondo orribile che non riesce a resistere al campo di attrazione di una gentilezza gratuita, e finisce un po’ per somigliargli. Certo, di tanto in tanto verranno inferti all’ottimismo dello spettatore colpi duri – durissimi – ma nulla potrà estinguere quella forza propulsiva raffigurata da Andy Dufresne.
PERCHÉ IL PROTAGONISTA DI LE ALI DELLA LIBERTÀ È UN EROE DIVERSO DA OGNI ALTRO
Veniamo così al punto focale del film: un protagonista assolutamente inusuale, le cui mille sfaccettature diventano per il pubblico un caleidoscopio nel quale ritrovare un po’ ogni aspetto dell’esperienza umana. Andy Dufresne, magnificamente incarnato da un Tim Robbins mai così sottilmente enigmatico, è un eroe positivo che sfugge però a ogni definizione.
Darabont, ovviamente forte anche del lavoro di King, ci racconta di un uomo incredibilmente luminoso che però ha reagito al tradimento della moglie caricando una pistola, di un ometto dall’aspetto fragile ma che non cede mai alla pressione, di un individuo di rara intelligenza che però adotta un basso profilo, di un carcerato schivo ma con una generosità quasi santa verso i compagni di prigione, di un individuo furbo e calcolatore che però sa sempre distinguere il bene dal male, di un ribelle che ha un approccio quasi zen alla vita. Come raramente accade, Andy Dufresne è la personificazione armonica dei contrasti più estremi, eppure risulta un personaggio straordinariamente credibile, coerente, positivo.
The Shawshank Redemption, un inno all’ottusa speranza
È per questa ricchezza della scrittura, per la solidità delle interpretazioni, per l’ottimo ritmo narrativo e per l’impeccabile fotografia di Roger Deakins che Le Ali della Libertà, un film un po’ anacronistico che non cerca chissà quale innovazione nel linguaggio o nel contenuto, finisce per rivelarsi un capolavoro senza tempo in grado di mettere d’accordo (quasi) chiunque. Quel tipo di ottimismo indomabile che porta a credere che un inferno come il carcere di Shawshank possa essere un luogo di redenzione sarà pure naïf, ma è mosso da un protagonista tutt’altro che banale. Ed è questo quello di cui in fondo, ogni tanto, continueremo ad avere bisogno. Un po’ di ottusa speranza.