Dopo essere stata per diversi anni una habitué del Festival di Berlino, dove ha vinto l’Orso d’argento per la miglior regia per Ciało (2015) e l’Orso d’argento del premio della giuria per Mug (Twarz, 2018), Małgorzata Szumowska è approdata anche al Festival di Venezia 2020 presentando nella competizione ufficiale il suo nuovo Never Gonna Snow Again (in originale Sniegu juz nigdy nie bedzie).
Never Gonna Snow Again è un film impalpabile e vanescente
Il film della Szumowska, co-diretto e scritto assieme al marito Michał Englert (che già aveva collaborato alle sceneggiature dei due film vincitori citati poco sopra), è un lavoro vanescente e confezionato al millimetro per essere la perfetta opera da presentare ad un festival cinematografico, racchiuso nei quattro angoli delle inquadrature che rappresentano l’adeguata impalcatura cromatica che sorregge una bolla dalle caleidoscopiche sfumature.
L’abbaglio lanciato da queste schegge lucenti è dietro l’angolo, sin da quando la pellicola si schiude con Żenia che scende dal pendio di un bosco nel cuore della notte, interpretato da quell’Oleh Yutgof (in anglosassone Alec Utgoff) arrivato sotto le luci della ribalta grazie al ruolo avuto nell’ultima stagione di Stranger Things e che ne ha decretato il forte apprezzamento del pubblico subito pronto ad osannarlo su internet. E di Żenia sapremo poco altro, se non che il fatto che sia un immigrato ucraino originario di Pryp’jat’, la città nei pressi di Chernobyl divenuta fantasma dopo l’esplosione della centrale avvenuto nel 1986. Sappiamo anche che fa Żenia è un tipo silenzioso ma eccentrico, che si guadagna da vivere facendo massaggi su commissione nel piccolo sobborgo d’elitè nella periferia di una città polacca non meglio identificata e che appare come distante emanazione di una civiltà tossica e inquinante, rappresa in tutte le sue sfumature (anche grottesche) in questo piccolo complesso residenziale fatto di case lussuose e tutte uguali.
La furba bolla che avvolge l’opera con protagonista Alec Utgoff
La coppia di coniugi dietro la macchina da presa mette a punto uno sguardo che sintetizza un netto passo in avanti rispetto a quanto la Szumowska aveva fatto vedere sino a qui, giocando su registri molto più puntuali e raffinati nel sapere inquadrare su schermo l’asettico mescolato al surreale, mutuando attraverso anche l’ausilio di un pizzico di apparente sovrannaturale le tonalità metafisiche proprie di un’opera per certi versi affine come Under The Skin.
Del film di Jonathan Glazer però ne assorbe anche gli slanci che legano lo script alla pura speculazione interpretativa, rinunciando del tutto all’asciuttezza visiva nel momento in cui si concede di scendere in riferimenti che scansano di lato ogni minima intenzione chiarificatrice di quel poco che accade su schermo, lasciando agli stimoli retinici il compito di sostenere l’interesse alla visione. Il lavoro d’intelaiatura lasciato nelle mani dello spettatore risulta alla fine della fiera troppo ampio e troppo profondo per poter convincere della sua sincerità, smascherando la furbastra natura che contraddistingue la tenuta molle di un cuore cinematografico che ben si presenta nella sua ricerca di premio festivaliero, ma che davvero poco si spinge ad offrire nel momento in cui viene rimossa la patina della rinuncia ad un processo drammaturgico. Tutto ciò che rimane al termine della visione è anzi un cartello su schermo che ci annuncia che entro il 2025 non cadrà più neve. Never Gonna Snow Again è quindi un film di sensibilizzazione ecologica? No, nemmeno questo. Oppure sì, la scelta a quanto pare è libera.