Confinato all’interno di un formato in 4:3 e bagnato da un bianco e nero splendidamente fotografato da Andrey Naydenov, Dear Comrades! (in originale Dorogie Tovarišči) è il film con cui Andrei Konchalovsky torna per la sesta volta alla Mostra del Cinema, dove in passato ha vinto due Leoni d’Argento e un Gran Premio della Giuria.
Al Festival di Venezia 2020 il ritorno del regista russo Andrei Konchalovsky
La pellicola, presentata alla 77° edizione del Festival di Venezia – dove nel 2016 Konchalovsky era stato premiato per la miglior regia grazie a Paradise (Рай) – è ambientata nell’Unione Sovietica del 1962, dove nei tre giorni che vanno dall’1 al 3 luglio, nella cittadina di Novocherkassk, gli operai di una fabbrica decidono di scioperare fermando la produzione di uno strategico polo dell’URSS («uno sciopero in uno stato socialista!»). Per i tafferugli e gli scontri che ne seguiranno verrà aperto il fuoco sulla popolazione, in un gioco al massacro ai danni dei civili nel quale le alte cariche di servizi segreti ed esercito tenteranno di screditarsi a vicenda e i cui fatti verranno insabbiati fino al 1992.
Konchalovksy pone il sigillo su di un film tagliato trasversalmente dal riflettersi degli eventi su Lyumdila (Julia Vysotskaya, moglie del regista), uno dei segretari del comitato di partito locale e nelle cui parole e pensieri riecheggia per tutto il corso della narrazione la nostalgia di un passato ricordato migliore e più prospero (in un cirillico “quando c’era Stalin…”), osservato dagli occhi dalla spaesata generazione immediatamente precedente a quella di Konchalovsky – ai tempi ventenne e da poco cimentatosi con la sua prima creatura cinematografica.
Dear Comrades! e il cambio di registro durante il film
Lo svolgimento di Dear Comrades! è tagliato in due dagli eventi. Nella prima ora infatti c’è la ricostruzione della vicenda, in un susseguirsi di riunioni e incontri che scandiscono l’avvicendamento delle catene di comando nel gestire una situazione che diviene via via più rovente (il pensiero corre alla serie TV Chernobyl), attraversata da alcune venature di thriller e spyware movie, colorite dall’occhio ironico con il quale il regista filtra un certo cinema di propaganda cui ammicca con istinto satirico. Poi al progressivo spostarsi del film nei meandri della macchina di occultamento messa in moto dai piani alti del governo con l’ausilio delle sempre infide manovre del KGB, l’ago della bilancia va ad orientarsi differentemente puntando sulla ricerca della figlia da parte di Lyumdila, persa durante il caos degli scontri e non tornata a casa.
Qui Dear Comrades! cambia completamente marcia e si fa forse un po’ più sincero, aprendosi e sbottonandosi maggiormente rispetto ai primi sessanta minuti – ne dura centoventi complessivamente. Nel complesso il giudizio su Dear Comrades! non può che essere positivo su ogni fronte, pur riconoscendo che forse il cineasta russo sembra lesinare un po’ troppo sul piano dell’emotività, giacché la pellicola risulta più rigida di quanto ci si aspetterebbe anche quando la storia si fa toccante.