Lasciami andare è un dramma dal sapore vecchio e indigesto, adattamento cinematografico del romanzo Sei tornato del 2012 scritto da Christopher Coake, presentato al Festival di Venezia 2020 come film fuori concorso e in chiusura della rassegna.
Lasciami Andare di Stefano Mordini è un dramma indigesto
Sceneggiato dal regista Stefano Mordini assieme a Francesca Marciano e Luca Infascelli, Lasciami andare sbaglia tempi e scelte a partire dalla corsa iniziale del suo protagonista Marco, interpretato da Stefano Accorsi, per le strade di una fredda Venezia invernale, lanciando allo spettatore uno schiaffo che lo catapulta ingiustificatamente in un racconto in medias res presto sgretolato e pronto a voltare pagina (di interi anni) pochi istanti dopo.
Così come sbaglia nel non sapere concedere minimo respiro all’introduzione successiva e sistematica degli altri personaggi non particolarmente reattivi in una storia piagata dal peso asfissiante di un lutto che ha segnato la vita di Marco e di chi gli sta intorno. Mentre però lui si è rifatto una famiglia dopo aver perso anni prima il figlio, la sua ex moglie (Maya Sansa) pare credere alle parole di una misteriosa donna (Valeria Golino) che afferma che nella casa dove vive ora, e precedentemente posseduta dalla separata coppia di coniugi, aleggi l’entità del bambino defunto.
Prende piede da questa componente mistico-drammatica una narrazione basata quasi del tutto sull’insistenza di una regia che si muove e soffocare gli attori spingendoli all’interno dei primi piani come esclusivo e spicciolo veicolo emozionale, inframmezzando una costruzione del sentimento con la cupezza di una fotografia (Luigi Martinucci) che appesantisce il taglio estetico già grezzo di inquadrature particolarmente poco riuscite (non dimenticheremo facilmente le natiche di Accorsi in una scena di sesso che ha lasciato la passione chiusa a chiave nel cassetto).
Regia senza idea e pochezza dello script nel film con Stefano Accorsi
Lasciami andare è irrigidito in un rigor mortis dove gli sforzi filosofeggianti alla base di una ricerca della verità del dopo morte sono svuotati dalle immediatamente seguenti spiegazioni in soldoni che qualcuno fa per assicurarsi che tutti rimangano in carreggiata, di certo non sufficienti a tenere in piedi un film al quale lo script non concede altro che staticità drammaturgica fino all’ultimo quarto d’ora di girato. Qua la pellicola fa uno scarto e decide di imboccare una repentina svolta da simil thriller fatto e risolto in tre passaggi in croce, che al di là di quanto può essere presente nel testo di partenza si incaponisce di sbrogliare una matassa che ha volutamente appesantito nell’indirizzare in un approfondimento dei rapporti tra personaggi che si fidano e si legano senza minimo coinvolgimento emotivo sotto il cielo plumbeo di una città le cui fondamenta marciscono allo stesso modo di quelle del film.
Stucchevole a dir poco in ogni sua sezione, Lasciami andare affonda nei canali veneziani con nessuno che tenti di tirarlo fuori dall’acqua, rigonfio su sé stesso e per questo assolutamente dimenticabile. E da dimenticare.