Presentato come film fuori concorso al Festival di Venezia 2020 e disponibile on demand sulle principali piattaforme VOD dal 1 giugno con Koch Media, Run Hide Fight declina il cinema di genere mettendolo a servizio di un tema scottante per gli USA come quello delle sparatorie all’interno degli istituti scolastici, tristemente di perenne attualità in particolare da vent’anni a questa parte.
RUN HIDE FIGHT PUNTA SUL CINEMA DI GENERE
Kyle Rankin, regista e sceneggiatore della pellicola, decide di approcciare frontalmente il portato sensibile della piaga statunitense di una facile accessibilità ad armamenti e materiali bellici, in più di un’occasione utilizzati da giovani e giovanissimi per compiere atti estremi come quelli all’interno delle scuole, che ciclicamente compaiono sui rulli delle news dei telegiornali che arrivano da oltreoceano. La novità, e peculiarità del film, è nel farlo rinunciando a trattare la questione sospendendola in una bolla d’analisi accarezzata quasi da toni metafisici, così come ad esempio ha fatto Gus Van Sant con il suo Elephant nel 2003 (Palma d’oro al miglior film e miglior regia a Cannes) ispirandosi al caso del massacro della Columbine High School avvenuto nel 1999, probabilmente tra gli eventi simbolo di una generazione e il più dolorosamente noto tra gli attacchi verificatisi all’interno delle mura di una struttura scolastica.
LA FIGLI DI UN MILITARE SI OPPONE A UNA SCHOOL SHOOTING
Rankin scansa di lato tutte le motivazioni e lascia indietro e ad altri l’interesse per quella che è la ricostruzione di un background psicologico, ponendo la caratterizzazione dei carnefici sopra i minimi ed essenziali tic (il disturbo mentale, il bullismo, la rivalsa sociale, ecc.) volti alla funzionalità del dividere le parti in ballo una da una parte e una dall’altra (magari con anche alcuni rovesciamenti di fronte per mettere pepe alla narrazione). Così come è mossa da semplici impulsi anche l’adolescente protagonista Zoe (Isabel May), nel pieno dell’elaborazione di un lutto familiare in grado di donarle la rabbia necessaria a riconoscersi eroina spietata e senza scrupoli, in una fase di contrasto con il padre (Thomas Jane) ex militare del quale ha assorbito l’affinità con le armi e un certo istinto alla sopravvivenza a tutti i costi.
Sul mero lato dell’intrattenimento, che è ciò a cui Run Hide Fight mira in prima e ultima istanza prendendosi la responsabilità di un’anestesia morale, è palese l’impronta dietro le quinte di un produttore come Dallas Sonnier, che vanta nella filmografia promossa negli anni recenti i due film estremi e senza compromessi di S. Craig Zahler, Brawl in Cell Block 99 (2017) e Dragged Across Concrete (2019). E infatti anche il film di Rankin non si cura minimamente del rischio di scuotere o strumentalizzare ai fini cinematografici la delicatezza del tema posto a setting del suo lavoro, riuscendo per questa ragione a offrire un oggetto ludico che riesce a sostenersi perfettamente all’interno della sua sfera sì violenta e ruvida sulle orme di un cinema di serie B, ma cosciente allo stesso tempo di non volersi occupare del campo della sensibilizzazione.