Le fasi che un uomo fortunato vive nel corso della sua breve esistenza sulla terra sono sotanzialmente quattro: infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia. Allo stesso modo nell’evoluzione di un artista ritroviamo le stesse fasi, per cui spesso sentiamo parlare di “maturità artistica”. David Bowie non ha mai vissuto l’ultima fase né della sua vita tantomeno della sua carriera, che dal 1967 fino alla sua morte nel 2016 non ha mai smesso di crescere e definirsi, come le tante sfumature della sua personalità. Quasi tutti gli album di David Bowie sono grandi successi, ma il Duca Bianco (personaggio protagonista dell’album Station to Station) non si è mai piegato alla standardizzazione, bensì ha voluto esprimere se stesso non soltanto attraverso la musica e le parole ma anche con i costumi, il teatro e la creatività.
Stardust: Gabriel Range presenta un film che è un viaggio interiore nell’adolescenza artistica di David Bowie
In concorso alla 15° Festa del Cinema di Roma, Stardust non è un vero e proprio biopic su David Bowie ma affronta uno specifico periodo della vita dell’artista, con molte libere interpretazioni del regista Gabriel Range. David Bowie e il suo alter ego Ziggy Stardust sono interpretati da Johnny Flynn (apprezzato attore britannico, visto anche nella serie Lovesick di Netflix), il press agent Ron Oberman è Marc Maron (Glow), mentre il ruolo della moglie Angie è di Gena Malone (Hunger Games). Siamo nel 1970 e David Jones/Bowie in Europa è un affermato cantautore, ma non ha ancora avuto l’occasione di sfondare negli USA. A causa di problemi con il visto Bowie, che vuole fortemente calcare i palchi a stelle e strisce, si trova ad affrontare un viaggio on the road con un press agent di second’ordine dell’etichetta Mercury. Oberman, nonostante numerosi rifiuti, crede ciecamente nell’artista– e fa di tutto per promuoverlo, inducendolo a salire sul palco senza cantare e senza suonare. L’accoglienza degli americani è lontanissima da quella del pubblico londinese ma Bowie utilizzerà il viaggio tra i campi del Midwest, per cercare la sua maturità artistica e alla fine lo farà, scegliendo di essere qualcun altro.
Il biopic su David Bowie: The Man Who Sold the World vs Ziggy Stardust, passando per Hunky Dory
Gabriel Range e Christopher Bell lavorano sui retroscena della vita di Bowie, sottolineando quanto una delle canzoni più belle scritte dall’artista britannico The Man Who Sold the World, non piacesse agli americani perchè troppo triste e malinconica, decisamente avanti per il 1970. Dal rifiuto per questo tipo di cantautorato nasce poi l’intreccio che porta Bowie a ripensare alla sua vita e affrontare il dramma del fratello Terry, affetto da schizofrenia paranoide e “ospite” di un ospedale psichiatrico. Terry, che aveva 10 anni in più, era un grande appassionato di musica e aveva indirizzato David all’ascolto del rock’n’roll e del jazz. Condizionato anche da queste esperienze, Bowie trova la forza per esprimersi e creare Ziggy Stardust. Range si concentra su questo lato oscuro e poco conosciuto del cantautore, ma è molto facile perdersi in un terreno che non è stato battuto e soprattutto senza l’aiuto dei familiari e degli amici del Duca Bianco, che non hanno nemmeno concesso i diritti sulle canzoni originali. Nella ricca e molto ben strutturata colonna sonora non sentirete mai la voce di David Bowie e nemmeno i suoi brani, che sono soltanto citati. Al protagonista Johnny Flynn, che è anche un cantautore, va l’interpretazione di alcuni brani di Brel e degli Yardbirds e la canzone originale Good Ol ’Jane.
La presentazione di Stardust sarebbe dovuta avvenire al Tribeca Film Festival 2020, ma a causa della pandemia da coronavirus il film è slittato ed è stato presentato in concorso alla 15° Festa del Cinema di Roma. Il film è stato acquisito da I Wonder Pictures e, salvo diversa comunicazione, sarà distribuito non appena possibile in sala.