Nonostante si sia presentato in Concorso al Torino Film Festival, Braden King, classe ‘71, non è proprio un esordiente, anzi. Alle spalle ha già una carriera importante fatta di cortometraggi, videoinstallazioni, spot pubblicitari e tantissimo materiale fotografico e multimediale. Senza contare che il suo debutto nel lungometraggio, Here, arrivò alla Berlinale del 2011, portandosi a casa il premio speciale della giuria. A Torino invece, l’autore statunitense ha presentato The Evening hour, la sua opera seconda, già passata a Rotterdam dopo la sua prima mondiale al Sundance Festival.
The Evening Hour, dal romanzo di Carter Sickels
La storia arriva direttamente dal romanzo d’esordio di Carter Sickels – una piccola rivelazione all’epoca, era il 2012 – ambientato a Dove Creek, cittadina della profonda provincia rurale del West Virginia. Il giovane Cole Freeman (Philip Ettinger, First Reformed), legato sentimentalmente Charlotte (Stacy Martin, Il Mio Godard), si divide fra il suo lavoro di inserviente nella locale casa di cura per anziani e la famiglia, prendendosi cura dei nonni (Tess Harper, Frank Hoyt Taylor) che lo hanno cresciuto.
Tutto bene, finché non scopriamo che in realtà Cole ha anche un’altra attività meno benevola, ovvero trattiene farmaci oppiacei che i suoi pazienti non usano e li rivende ai tossici del posto. Un modesto traffico di droga che non impensierisce Everett (Marc Menchaca, Ozark), lo spacciatore della città, disposto a scatenare la sua squadra di scagnozzi su chiunque invada il suo territorio. Ma per Cole quel fragile equilibrio è sconvolto dal ritorno in città di un suo ex compagno del liceo, Terry (Cosmo Jarvis, Lady Macbeth), carico di debiti e delusioni, nonché con la grande ambizione di iniziare a spacciare droga calpestando i piedi ad Everett. Come se non bastasse nella vita di Cole torna a fare capolino anche la madre Ruby (Lili Taylor, Alta Fedeltà) che, dopo averlo abbandonato, si presenta a casa in occasione del funerale del nonno predicatore, innescando una serie di problemi esistenziali che il giovane pensava di aver superato.
Braden King confeziona un film d’atmosfera
Ecco. Ben oltre ogni aspettativa, King segue le orme del romanzo realizzando un film con una certa coralità di personaggi e una struttura importante e precisa, abbandonando le velleità itineranti del suo Here in cui la libertà del road-movie gli concedeva di navigare a vista. A dire la verità il materiale forse è fin troppo ingombrante: a volte si ha sensazione che molte trame secondarie non siano state restituite nella loro totalità (eppure il film dura quasi due ore), lasciando spesso alla nostra immaginazione lo sviluppo delle relazioni fra alcuni personaggi e l’esplosione di vari altri elementi chiave.
Dopotutto il libro di Sickels era una trasposizione in campagna della criminalità metropolitana, tra intrighi criminali, droga e resa dei conti fra pusher; King invece lascia sottotraccia le tinte forti almeno per una prima buona ora di visione, preferendo sospendere la storia attraverso piccole scene d’atmosfera e avvicinarsi con cautela al nocciolo della questione, gongolandosi (in modo eccessivo) sul paesaggio circostante, grazie anche al talento del direttore della fotografia Declan Quinn. Perché se tematicamente sembra rifarsi al fortunatissimo Winter’s Bone, stilisticamente il film di King rimanda un cinema più algido, come fosse un film di Lasse Hallström.
Il tema dell’abbandono in The Evening Hour
Il problema è che, nonostante l’ottimo lavoro di tutto il cast (soprattutto di Cosmo Jarvis), il rischio del naufragio nel teatro recitato è dietro l’angolo e a un certo punto capiamo che The Evening Hour sembra essere totalmente disinteressato a creare un minimo di tensione o immergersi nella narrazione sporcandosi le mani e non solo l’anima. Un altro indie movie che raccontava una comunità rurale molto simile a quella di Dove Creek, Inherit the Viper, aveva i suoi difetti ma almeno riusciva ad abbracciare a piene mani tutti i codici del thriller poliziesco.
Ma a King quella direzione non interessa, punta piuttosto a indagare il tema dell’abbandono: che sia quello collettivo di una città che ha perso la sua vocazione economica (la miniera abbandonata è un luogo chiave di tutto il film) o che sia quello intimo del protagonista, che fa i conti una figura materna e paterna praticamente assenti dalla sua vita. Ma è anche un film sull’inevitabile peggioramento delle aspettative di vita di un’intera comunità e delle sue nuove generazioni: nipoti che da una parte sono costretti a prendersi cura dei nonni storditi e ormai in fin di vita, dall’altra spacciano oppiacei come un’unica fonte di entrata economica. Una sorta di presente che non riesce ad andare oltre la perpetuazione del proprio passato.
La decadenza della provincia americana, il degrado di un’economia produttiva superata dai tempi, il disorientamento delle nuove generazioni e l’identità perduta di un’intera comunità: The Evening Hour aveva tutte le carte in regola per costruire un prodotto urgente, complesso e profondo, ma Braden King sembra sempre rimanere sulla superficie del dramma, nella sua contemplazione e mai dentro, nella sua folgorazione.