Se qualcuno è convinto che la macchina del cinema abbia esaurito lo spazio di sperimentazione in termini di messa in scena e modo di raccontare quello che vediamo, allora forse Cleaners è il film che può fargli cambiare idea. L’opera prima del filippino Glenn Barit, presentata Fuori Concorso al Torino Film Festival 2020 è infatti un coming-of-age atipico per il suo approccio stilistico, pieno zeppo di idee nuove e capace di raccontare le tensioni dell’adolescenza in un modo che forse nessuno aveva mai visto prima. In patria – dove la concorrenza non è tantissima – è stato il caso cinematografico del 2019 e quando è passato al QCinema International Film Festival si è portato a casa sei premi, tra cui miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura.
CLEANERS, IL FILM FILIPPINO CHE SEGUE LA VITA DI QUATTRO STUDENTI
Formato da quattro capitoli antologici, più un prologo e un epilogo, il film è ambientato tra il 2007 e il 2008 e racconta la storia di cinque diversi studenti di una scuola cattolica di Tuguegarao City e che sono, allo stesso tempo, anche addetti alle pulizie delle classi. Stephanie (Ianna Taguinod) vuole unirsi al gruppo di ballo della scuola e non è disposta a occuparsi del progetto dell’orto scolastico che l’insegnante le ha dato in carico; Angeli (Gianne Rivera), la rappresentate di classe, lotta per convincere tre compagni di classe emo/metallari a preparare un numero di danza popolare in occasione del mese della lingua nazionale; Francis (Allan Gannaban) è bullizzato dai suoi compagni maschi per il fatto di non essere ancora circonciso, cosa che gli crea dei problemi anche con la ragazza di cui è innamorato, Britney (Charise Mabbonag); Infine Junjun (Andrei Marquez), il figlio del sindaco della città, decide di candidarsi per il consiglio giovanile locale finendo per essere coinvolto in tattiche elettorali poco pulite
FOTOCOPIE ED EVIDENZIATORE: UNO STILE VISIVO CHE COLORA LA MEMORIA
Per mettere in scena queste esperienze, Barit ha esportato il girato in 8 fps e ha stampato tutti i fotogrammi (circa 30mila) dopo averli editati per farli apparire come “fotocopie”. Poi ha colorato manualmente le stampe utilizzando i colori dei pennarelli evidenziatori, quelli che gli studenti utilizzano per sottolineare le frasi sui libri di testo. Infine ha rimontato il tutto. Il risultato è un film dallo stile unico: le trame visive del bianco e nero fotocopiato rimandano a un immaginario nostalgico mentre i colori fluorescenti diventano uno strato emotivo della narrazione, isolando i personaggi principali e riflettendo occasionalmente i cambiamenti nei loro umori e nelle loro relazioni. A tutti gli effetti Barit riesce a “colorare” la memoria, a rendere visivamente tangibile il meccanismo che sta alla base dell’evocazione del nostro passato, leggendo i nostri ricordi come una sorta di fac-simile della realtà: approssimativi, esagerati, sporchi e instabili; eppure, preziosissimi. Non è la prima volta che l’autore filippino sperimenta l’intreccio fra ciò che raccontano le sue opere e lo stile visivo scelto per rappresentarle: già il cortometraggio Aliens Ata (2017) fu girato esclusivamente con dei droni per restituire il punto di vista di una creatura aliena che osservava il pianeta terra.
CLEANERS PROPONE UN’ESTETICA SURREALE PER UN RACCONTO VIBRANTE
Ma l’impatto visivo non è l’unico aspetto innovativo di questo film. Lo script contamina in modo meraviglioso quadri grotteschi ad altri dolorosamente imbarazzanti, gag in pieno stile slapstick a piccoli traumi dell’adolescenza, scene strampalate a veri e propri momenti pulp. Nella sua estetica surreale, Cleaners esalta un realismo vivido e gonfio di sentimenti, sensazioni e tensioni: il peso della pubertà è tangibile; per certi è spietato e drammatico, per altri è gioioso e liberatorio. In tutto questo le idee di regia di Barit non sono affatto un contorno, anzi, si inseriscono pienamente in universo di punti di vista diversi a seconda dei protagonisti raccontati nei singoli episodi, facendo leva soprattutto su uno sguardo completamente libero, audace e borderline, un po’ come in fondo l’adolescenza dovrebbe essere ricordata.
Dopotutto, questa sovversione un po’ romantica e un po’ punk, restituisce un mondo a sé, lontano anni luce sia dal conservatorismo delle istituzioni cattoliche filippine, dal pragmatismo degli adulti e anche da quel cinema del Leone d’Oro Lav Diaz (The Woman Who Left, Genius Pan) che spesso siamo portati a pensare come espressione predominante della cinematografia di quella zona. In questo senso l’ultimo capitolo di Cleaners è l’epilogo più azzeccato per come riesce a riunire i singoli personaggi, mantenendo quell’equilibrio magico fra nostalgia e follia. Un grido collettivo al mondo di fuori: l’ultima sfida, l’ultimo caos e l’ultimo pasticcio da combinare, prima che l’età adulta bussi alla porta e la classe venga ripulita, in attesa della prossima lezione.