Al Torino Film Festival 2020 arriva ancora un altro esordio nel lungometraggio, questa volta Fuori Concorso e a firma di Olympe de G., autrice, regista e attrice attiva nel palcoscenico dei film erotici europei che spesso dirige e interpreta anche. Une Dernière Fois è la sua prima opera che si assesta su un girato di 70 minuti e che si apre all’insegna di una camera a mano dalla pasta che trasuda il contatto diretto dell’amatorialità, della dialettica tra operatore e oggetto di ripresa che interagiscono, e molto, durante il corso di quello che è un finto documentario.
“Sandra, vedi?” sarà uno dei tanti e ripetuti coinvolgimenti che Salomé (Brigitte Lahaie), donna di 69 anni, cercherà di instaurare con l’occhio che la scruta curioso, ossessivo, bramoso di essere considerato anche se da dietro la pudicizia dell’obiettivo della camera. Una macchina da presa che osserva la selezione che Salomé fa tra i potenziali partner di un’ultima notte all’insegna dell’amplesso, poiché ha deciso di ricorrere in seguito al suicidio assistito in quanto non desidera più vivere in una società che non presta attenzione alle esigenze degli anziani.
Une Dernière Fois alla ricerca dell’ultima volta perfetta
Ma le ultime volte dovrebbero possedere la magia, la perfezione quantomeno ricercata che viene assegnata alle sorelle più candide delle prime volte, da sempre le figlie privilegiate nella sfera del ricordo. Da qui Une Dernière Fois scivola all’interno della sensualità femminile che viene investigata in un alternarsi delle confessioni della donna alle sue esperienze di indagine tra i vari individui che raggiungono il suo appartamento per far schiudere l’eros e trovare la giusta combinazione.
La camera resta addosso a questi corpi e li tallona da vicino, scrutandone le pieghe e le curve, invadendo uno spazio privato a uso e consumo di un desiderio anche narcisistico in cui la stessa Salomé si riflette e si ammira, fino ad arrivare a una esplicitazione sempre più palese dell’atto sessuale che la regista (della regista) insiste a riprendere sì con delicatezza ma anche con morbosa foga.
In Une Dernière Fois una sensualità fiacca tra filmico e profilmico
Il dialogo costante, onnipresente, tra filmico e profilmico non lascia che presagire una rivolta di quest’ultimo nei confronti del primo, in un rovesciamento di sguardi dove la pudicizia, che tiene a chiarire ripetutamente il suo status (“non voglio fare un film porno”), si ritrova a sua volta costretta alla luce delle ottiche che la chiamano e la scoprono a sua volta soggetto sessuale. Salomé quindi scoprirà forse qual è l’ultima reale esperienza che vuole incorniciare come perfetta all’interno delle sue fotografie nel cassetto delle memorie, celata fino a quel momento dietro una barriera che eppure aveva già mostrato molto la voglia di travalicare.
Rimane però dubbia l’esigenza narrativa e il sottotesto scatenante che non trovano mai un reale confronto con l’irruzione sempre più viscerale dello sguardo nel coito, scollato da tutto il ragionamento che dovrebbe circondarlo e per questo sospeso nella sì intima e in alcuni istanti ironica scoperta del piacere, ma in fin dei conti sterile e nemmeno così sensuale nella sua resa definitiva.